Dove va la psicologia? Il Consiglio di Stato boccia il nuovo codice deontologico degli psicologi.

Proprio alla vigilia di Natale, il Consiglio di Stato ha bocciato sonoramente e in via definitiva il nuovo codice deontologico degli psicologi, votato da un’esigua minoranza di iscritti (il 12%), con uno scarto ancor più esiguo fra i sì e i no (9%, poco più di 1400 voti su quasi 17000 espressi), che era stato impugnato da un piccolo gruppo di professionisti molto determinato a fermare la deriva attuale dell’Ordine. Potrebbe sembrare una questione tecnica, ma in realtà riguarda tutti cittadini e andrebbe seguita con molta attenzione della pubblica opinione.

Che cosa è successo? Il Consiglio di Stato ha ritenuto dirimente il fatto che la votazione non includeva la premessa etica del codice che, come si può immaginare, costituisce il riferimento principale della professione. Si potevano votare solo gli altri articoli. Non è entrato nel merito delle altre irregolarità richiamate dai ricorrenti, che pure sono molto gravi e significative. Per esempio, il fatto che gli iscritti all’Ordine non avessero ricevuto alcuna comunicazione via PEC sull’indizione del referendum (quindi molti non sapevano nulla); l’impossibilità di votare presso le sedi degli Ordini come si era sempre fatto; l’obbligo di SPID arrivato pochi giorni prima del voto; la tardiva pubblicità sul sito istituzionale; la mancata pubblicazione dei verbali delle riunioni dell’Ordine; il voto in blocco sull’insieme di tutte le modifiche dell’articolato, che riguardavano quasi tutti gli articoli; la predisposizione della piattaforma informatica per 50.000 posti quando il numero degli iscritti è di 130.000. Ma sulla procedura il rilievo più sostanziale è il mancato coinvolgimento degli iscritti, ai quali la modifica del codice è stata imposta dall’alto senza un dibattito interno e senza una procedura di ascolto delle varie posizioni, come pure era stato chiesto da diversi gruppi e comitati, con lo stile autoreferenziale che ormai caratterizza la prassi politica a tutti i livelli.

Il Consiglio di Stato non può per ovvie ragioni entrare nel merito delle modifiche apportate, ma anche su questo ci sarebbe molto da approfondire: nel testo del nuovo codice non compaiono più parole fondamentali come “autodeterminazione”, “segretezza”, “non discriminazione”, “cura”, “relazione”, “percorso terapeutico”, “soggetti”. Sono le parole che qualificano la psicologia come disciplina autonoma rispetto alle professioni sanitarie. La direzione verso cui sembra tendere invece il lavoro dell’Ordine è quella della medicalizzazione della psicologia, della riduzione dei margini di libertà di scelta terapeutica da parte degli psicologi, in favore di una mai chiarita né definita adesione a protocolli indicati da una fantomatica “comunità scientifica nazionale e internazionale”. Ma si può pensare di seguire un protocollo in una relazione profonda e delicata, assolutamente unica e irripetibile, come quella fra uno psicologo e la persona (l’anima) di cui si prende cura? Non si corre così il rischio di indottrinare e indirizzare verso un obiettivo predefinito da altri, invece di far crescere e sostenere la libertà di scelta del soggetto? Basti ricordare gli psicologi che in piena pandemia, invece di opporsi con valide argomentazioni scientifiche alla vessazione subita dai bambini a causa delle dannose norme sanitarie, lavoravano per favorire l’accettazione delle regole. Nell’interesse di chi?

Nel nuovo codice – peraltro nebuloso in più punti – sembra essere adombrato addirittura il trattamento sanitario obbligatorio (!), sembra ridursi lo spazio della responsabilità genitoriale, viene meno l’obbligo di consenso parentale nei contesti non terapeutici come quello scolastico. Ne viene fuori una psicologia dall’etica debole, mutuata dalle indicazioni internazionali vaghe e buone per tutti dell’EFPA (Federazione Europea delle Associazioni di Psicologi), in cui si perde lo specifico della professione e la si appiattisce sulla professione medica, da cui si è faticosamente resa autonoma in anni passati; si mette inoltre in forse la completa segretezza del rapporto terapeutico e si rende problematica la libertà di scelta del professionista e del cliente. In compenso non manca la venatura ideologica e l’insistenza pedante sulle tematiche dell’inclusione.

Perciò, benché il CNOP abbia voluto minimizzare la portata della sentenza del Consiglio di Stato, dicendo che “non sconfessa in alcun modo i principi adottati dal CNOP né l’articolato del Codice come approvato dal referendum”, restano aperte questioni fondamentali, di natura etica, valoriale ed epistemologica, nonché politica: da chi e a che scopo il CNOP è stato indirizzato verso la deriva sanitaria, certamente favorita dalla Legge 3/2018 (legge Lorenzin di riordino delle professioni sanitarie)? Dove sta andando la psicologia, visto che gli stessi estensori del nuovo Codice parlavano di un testo di transizione? Transizione verso dove? Verso la psicologia di Stato, che guida dolcemente il gregge con le “spintarelle gentili” (nudging)? Verso una psicologia dei protocolli, fatta apposta per irregimentare gli psicologi in un binario prestabilito, pena contenziosi legali? Verso i modelli scientisti dell’obbedienza acritica alle direttive dello Stato e dei privati portatori di interessi? Insomma, verso un subdolo controllo delle menti? Sarebbe opportuno saperlo.

L’Ordine degli Psicologi non ha purtroppo dato prova di autonomia intellettuale e di coraggio in periodo pandemico. Si è trincerato dietro il cieco ossequio alle norme che i tribunali stanno finalmente (con ritardo) iniziando a definire illegittime e non si è fatto scrupolo di sospendere e di esporre al pubblico ludibrio i propri iscritti non vaccinati, violando ogni più elementare diritto di privacy e le stesse prescrizioni del Codice deontologico (sono colleghi!). Non si è preso cura delle vite professionali distrutte, dei pazienti lasciati a se stessi, delle famiglie danneggiate. Non ha alzato la voce per protestare contro la devastazione delle menti dei cittadini e soprattutto dei bambini e degli adolescenti ad opera di una comunicazione mediatica terroristica e violenta. Non ha messo in guardia contro le evidenti tecniche di manipolazione usate a piene mani per indurre le persone alla conformità e all’obbedienza. Ha prodotto nella comunità professionale una spaccatura profonda e insanabile, sulla quale è calata una coltre di imbarazzato silenzio.

Che sia questo CNOP a decidere l’etica professionale degli psicologi è qualcosa che lascia molto perplessi. Non ne ha più l’autorità morale, specie dopo la figuraccia della bocciatura del Consiglio di Stato. Più che di questa modifica del Codice, tutta da riscrivere, ci sarebbe bisogno di un completo rinnovamento del vertice, ormai lì da troppo tempo, di una discussione aperta e democratica fra gli iscritti sul futuro della professione, di un’idea su come tutelare i cittadini dall’invadenza delle piattaforme online di servizi psicologici che raccolgono dati personali sensibili a strascico e di come valorizzare e far crescere i professionisti, invece di sospenderli per mancanza di un green pass. E chissà se alla fine la soluzione di tanti problemi non sia l’abolizione dell’Ordine professionale (o degli Ordini in generale), che è una specificità tutta italiana, ma di cui francamente si comprende sempre meno la necessità. Se le regole diventano dei vincoli troppo limitanti, o – peggio – troppo vaghi, rischiano di snaturare la professione e di piegarla a finalità estranee. Sarebbe un danno non quantificabile, ma profondo per tutti i cittadini e per le libertà democratiche, già duramente minacciate su tanti fronti.

Per chi volesse approfondire, suggerisco la lettura del saggio AA.VV. (a cura di B. Lucidi), Libertà di cura e cura della libertà. Quando le regole di una Comunità professionale diventano una gabbia, Il Cerchio 2025.

Articolo pubblicato su Sovranità popolare n°1 febbraio 2025