Emergender

Piazza Libertà con Armando Manocchia – puntata 72

Armando Manocchia torna ad occuparsi dei bambini e dell’emergenza gender in questa puntata di “Piazza Libertà” dal titolo: “Emergender”.

Una questione già affrontata altre volte in passato che subdolamente passa troppo spesso sottotraccia ma che, oggi più che mai, rappresenta invece un’urgenza sulla quale accendere i riflettori.

Ne discutiamo insieme a Silvia GueriniFrancesca Romano PolettiRomano PalladinoPatrizia ScanuInes Buonora e Giusy D’Amico.

La pianificazione delle nostre vite

Piazza Libertà – puntata 62

In Piazza libertà si parla spesso di temi che riguardano la nostra vita che talvolta viene pianificata in modo criminoso da organizzazioni pseudo-istituzionali.
Per noi l’obiettivo è infondere conoscenza, consapevolezza e anche in questa puntata cerchiamo di farlo parlando di Pianificazioni. Dal Piano Scuola 4.0, una pianificazione per la distruzione e non certo per l’istruzione, al Piano OMS che attraverso un documento vuole inserire il “diritto sessuale” dei bambini. Parleremo anche del Piano ONU per la riduzione della popolazione, ma anche di Università, transizione digitale, transumanesimo e infine di “Un cuore che batte”, la raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare per contribuire a diminuire le interruzioni di gravidanza. Gli ospiti della puntata: Patrizia Scanu, psicologa e insegnante; Ramona Palladino, mamma e giurista, Alessio Fortunati, biologo molecolare e scrittore, Alessandro Meluzzi, psichiatra e scrittore; Maurizio Martucci, giornalista e scrittore, Aldo Rocco Vitale, Docente di Filosofia del Diritto. Giorgio Celsi, presidente di Ora et Labora.

Quando il privato governa il pubblico. Bill Gates, dal Coronavirus all’identità digitale

Se la filantropia mondiale ha un volto, è quello di Bill Gates. E se c’è un privato che esercita l’influenza di una grande potenza sulla sanità mondiale a colpi di miliardi di dollari, è sempre Bill Gates. Nella crisi mondiale da Coronavirus, lo abbiamo visto dappertutto. Ha lasciato la guida di Microsoft per dedicarsi ai vaccini a tempo pieno, dopo anni di indefessa campagna martellante in sinergia con le grandi multinazionali farmaceutiche, con il governo USA, con l’OMS e con altri soggetti pubblici e privati coinvolti in questa gigantesca operazione commerciale e politica, che ci ha regalato come effetto il decreto Lorenzin nel 2017. Del resto, come dicevamo nei due precedenti articoli, uno sui cospicui finanziamenti privati all’OMS e l’altro sulla GAVI Alliance, lui in persona ci ha spiegato da Davos che l’investimento di 10 miliardi di dollari in vaccini ha reso oltre 20 ad 1, ovvero più di 200 miliardi di dollari.

Nel 2015, in una Ted Conference, spiegava che “se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone, nei prossimi decenni, è più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra.” E mostrava l’immagine di un coronavirus (H1N1), invocando la necessità di un “sistema sanitario globale”, che utilizzi la tecnologia (cellulari e mappe satellitari) per tracciare le persone e la scienza (farmaci e vaccini), con l’ausilio dei militari. “Il mondo è semplicemente impreparato a gestire una malattia – per esempio, un’influenza particolarmente virulenta che infetti molto rapidamente un gran numero di persone”, spiegava nel suo Blog.

Ma il 2015 è un anno notevole anche per altre iniziative di Bill Gates. Ormai espertissimo nella costruzione di GPPP, partnership globali pubblico-privato, che vengono fuori a getto continuo, Gates promuove la creazione di ID 2020, i cui fondatori sono tutti soggetti privati o altre GPPP, nello specifico il GAVI. I fondatori sono Accenture, GAVI Alliance, Microsoft, Rockefeller Foundation, Ideo.org, ai quali si sono aggiunti alcuni soggetti privati e non-profit. Lo scopo è creare una sinergia fra diversi partner al fine di introdurre e realizzare l’identità digitale “per tutti”. La premessa è che “il bisogno di una buona identità digitale è universale”: come al solito, la premessa non è discussa da nessuno ed è messa lì, come ovvia e incontestabile. Considerata, sulla base di un’interpretazione acrobatica dell’art. 6 della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, “un fondamentale e universale diritto umano”, essa deve essere “privata, portatile, persistente, personale”. Cioè deve essere associata al corpo. Neanche il mezzo è oggetto di discussione, come un’assoluta ovvietà. L’idea che qualcuno possa dissentire non è nemmeno presa in considerazione. Del resto, «gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (2015-2030) [ovvero l’Agenda 2030 dell’ONU] includono l’obiettivo 16.9 che auspica “l’assegnazione di un’identità legale a tutti, compresa la registrazione della nascita, entro il 2030”».

Insomma, Bill Gates, l’ONU, la Banca Mondiale, che ha dato inizio al progetto con il nome ID4D,  e le élite globali hanno deciso che tutti, senza eccezione, dobbiamo essere identificati con certezza, con dispositivi prodotti dalle aziende che fanno parte del progetto (conflitti di interesse a parte). A chi serva veramente, a parte le argomentazioni capziose, non ci viene detto. In più, però, si aggiunge che tale dispositivo di identità digitale sarà indispensabile per accedere ai diritti di cittadinanza, ovvero per “assicurare un’unica identità legale e attivare servizi basati sull’identità digitale per tutti”, scrive la Banca Mondiale sul suo sito.

Dietro le ragioni umanitarie, quello che si prospetta è un gigantesco sistema di schedatura, tracciamento e controllo dell’intera umanità? Le élite globali si muovono in uno spazio extragiuridico, nel quale decidono le sorti dell’umanità senza nessuna legittimazione politica. Che cosa potrebbe impedire loro, con la potenza dei loro miliardi e la pressione sui governi, di costringere tutti senza eccezione ad ottenere l’identità biometrica dietro il ricatto dell’accesso a qualunque servizio, da quelli sanitari a quelli scolastici, da quelli bancari a quelli giudiziari oppure di esercitare il diritto a comprare e a vendere, a procurarsi il cibo, ad avere documenti, a circolare liberamente, a non essere trattati come reietti senza diritti e condannati alla morte sociale e fisica?

Se il dispositivo fosse un microchip (e la tecnologia nanometrica esiste già), come potrebbero i cittadini “mantenere il controllo sulle proprie informazioni”, se con un clic potrebbero essere cancellati o manipolati, magari perché sgraditi o troppo critici?

La risposta a questa domanda viene dai fatti. Nel 2015, anno di fondazione dell’ID2020, è partita senza apparente ragione la crociata mondiale per l’obbligo vaccinale universale. Ricordiamo che il vertice di Washington del GHSA (Global Health Security Agenda), di cui GAVI è partner fondamentale e da cui la ministra Lorenzin ci ha portato in dono l’obbligo vaccinale, è del 2014. Da allora le politiche vaccinali di molti Paesi si sono fatte aggressive e sempre più autoritarie, comprimendo senza ragione comprensibile altri diritti fondamentali, fra i quali la potestà genitoriale, l’obiezione per motivi religiosi, il diritto all’istruzione, ai documenti di identità (!), alla patente, all’accesso ai concorsi pubblici o alle professioni, perfino la libertà di parola e di espressione, con il pretesto delle fake news. GAVI Alliance è membro fondatore di ID2020, con le aziende farmaceutiche che ne fanno parte. Nel 2019, ID2020 Alliance

ha lanciato un nuovo programma di identità digitale al suo summit annuale a New York, in collaborazione con il governo del Bangladesh, con l’alleanza per i vaccini GAVI e con nuovi partners nel governo, nel mondo accademico e nel soccorso umanitario. Il programma di fare leva [leverage] sulle vaccinazioni [immunization, con abile confusione[1]] come occasione per istituire [establish] l’identità digitale fu svelato [unveiled] da ID2020 in collaborazione con il Programma di Accesso all’Informazione (a2i) del Governo, il Direttorato Generale per i servizi sanitari e il GAVI, secondo quanto annunciato.

Le vaccinazioni sono dunque il veicolo per l’identità digitale. Il che può avvenire in due modi: o, in concomitanza con le vaccinazioni, si prendono le impronte o altri dati biometrici (riconoscimento facciale o oculare), o tramite le vaccinazioni si inserisce nel corpo un microchip. E se le vaccinazioni sono obbligatorie, l’opportunità diventerà un obbligo. Anir Chowdhury, consigliere politico del programma a2i, ammette apertamente che i sistemi di identità digitale saranno necessari agli individui “per l’accesso ai servizi e ai mezzi di sostentamento”. Quindi, anche se non si volesse ricevere questo “dono” non richiesto, che è pure irreversibile, ci si dovrà adeguare, se si vuole sopravvivere. Sembra abbastanza chiaro. Due piccioni con una fava, con grande soddisfazione di Big Pharma. Sarà per questo che Bill Gates ha investito miliardi di dollari in questo progetto. Tutti vaccinati senza limite per tutto ciò che sarà deciso dall’alto, anche se contrari; tutti sotto controllo senza scampo.

Che sia questo il senso, lo ha ribadito lo stesso Bill Gates pochi giorni fa, affermando che per circolare nuovamente “avremo dei certificati digitali per dimostrare chi è guarito o è stato testato recentemente o, quando avremo il vaccino, chi lo ha ricevuto”. Alludeva ai tatuaggi a punti quantici da iniettare sottopelle come documento portatile con le informazioni sulle vaccinazioni effettuate. Del resto, la Commissione europea dal 2018 sta lavorando al passaporto vaccinale per tutti gli europei.

In collaborazione con aziende leader nel settore dell’identificazione biometrica, come NEC e Simprints (altra GPPP, a cui partecipano sempre GAVI e Bill e Melinda Gates Foundation, USAID e Global Innovation Fund), GAVI sta realizzando il progetto di “usare la biometria per migliorare la copertura vaccinale nei Paesi in via di sviluppo”. La stessa cosa si sta facendo ad Austin, Texas, con i senzatetto, e altrove per la gestione dei rifugiati, attraverso altre GPPP come Irespond ed Everest. Impossibile sfuggire, quindi.

GAVI, ovvero i finanziatori privati dell’OMS, ormai priva di ogni indipendenza e ridotta praticamente ad ufficio marketing delle multinazionali, decide le campagne vaccinali e poi verifica che nessuno sfugga, e nel frattempo raccoglie i dati biometrici di ciascuno. Per chi? A quale scopo? Ovviamente, non è ignota la possibilità che se ne faccia un uso repressivo e autoritario. La tecnologia permette la sorveglianza capillare e occhiuta dei cittadini e i governi non se ne astengono certo. Anche in Italia sono richieste le impronte digitali per la carta di identità e il riconoscimento facciale sta entrando negli aeroporti. Il 5G, che è tecnologia militare, renderà tutto ancora più facile. Che uso se ne faccia, non è dato saperlo.

I dispositivi per l’identità digitale, al momento, sono costituiti da scanner biometrici. Dei microchip non si parla, nel sito di ID2020, il che non significa che non saranno usati con i vaccini. Ma ormai è collaudata la strategia dell’approccio graduale, e i microchip sono già impiantati dagli anni ‘70 in molti contesti, fra i quali la guerra del Vietnam e quella in Iraq. Non mancano perciò le preoccupazioni, tutt’altro che campate in aria, nell’era del capitalismo della sorveglianza. Esistono già infatti dispositivi grandi come un granello di polvere, prodotti dalla giapponese Hitachi, capaci di interferire con i processi cellulari e di modificare emozioni e comportamenti. Del resto, già da tempo la Glaxo-Smith Kline ha avviato in Gran Bretagna un progetto di bioelettronica da 540 milioni di sterline, che prevede l’utilizzo di microchip impiantati per somministrare farmaci e vaccini e che è diretto da Moncef Slaoui, responsabile del settore vaccini della multinazionale britannica.

Rauni-Leena Luukanen-Kilde, MD, primo ufficiale medico in Finlandia, morta in circostanze poco chiare sempre nel 2015, già nel 1999 scriveva[2]:

È tecnicamente possibile che ad ogni neonato venga iniettato un microchip, che potrebbe poi servire per identificare la persona per il resto della sua vita. Questi piani sono stati segretamente discussi negli USA senza alcuna diffusione pubblica dei problemi di privacy implicati. […] Gli esseri umani impiantati possono essere seguiti ovunque. Le loro funzioni cerebrali possono essere monitorate da lontano da supercomputer e perfino alterate cambiando le frequenze. […]

Sarebbe opportuno anche ricordare che l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi è stato accusato pubblicamente di aver ceduto nel 2016 all’IBM i dati sanitari dei cittadini italiani. Come scrive il giornalista Gianni Lannes:

Nel Memorandum of Understanding siglato il 31 marzo 2016 a Boston da Matteo Renzi, allora primo ministro sia pure di un governo senza mandato elettorale palesemente telecomandato da interessi finanziari stranieri, è scritto: 

«Come presupposto per realizzare il programma ed effettuare l’investimento IBM si aspetta di poter avere accesso – in modalità da definire – al trattamento dei dati sanitari dei circa 61 milioni di cittadini italiani (intesi come dati sanitari storici, presenti e futuri) in forma anonima e identificata, per specifici ambiti progettuali, ivi incluso il diritto all’uso secondario dei predetti atti sanitari per finalità ulteriori rispetto ai progetti».


All’insaputa degli italiani, il capo di un governo eterodiretto dall’estero, in cambio di un investimento a Milano, si mette d’accordo con una famigerata multinazionale già in affari con Hitler per schedare gli ebrei da sterminare nei lager.

Quale uso ulteriore ne possa essere fatto, non è dato sapere. Certo che il precedente nazista non rassicura, specie se si considera la pressione che viene fatta con la forza dei miliardi per imbavagliare ogni forma di dissenso e ridicolizzare tutte le voci critiche. Abituati a dare ordini, i miliardari globali si sentono padroni del mondo e fanno piani di ingegneria sociale a lungo termine. Si chiama delirio di onnipotenza.

La crisi del Coronavirus, con la sospensione delle libertà democratiche e il terrorismo mediatico, sta offrendo loro una splendida opportunità. Ne ha spiegato bene i contorni il dottor Shiva Ayadurai, l’inventore dell’email, candidato al Senato nel Massachusetts, in un video tutto da seguire: Top Doctor exposes everything The Deep State Is Trying To Hide About CV. Sarà meglio svegliarsi.

#ilpopolosiamonoi


[1] La vaccinazione non comporta infatti immunizzazione in tutti i soggetti, anche se non viene mai detto. Ma è la vaccinazione che interessa, non l’immunizzazione!

[2] SPEKULA (3rd Quarter, 1999), leggibile integralmente qui: http://whale.to/b/kilde.html

[Articolo pubblicato su Sovranità popolare, n° 3, aprile 2020].

Quando il privato governa il pubblico (parte seconda). La GAVI Alliance e i bond vaccinali

Nel numero precedente di SP abbiamo approfondito il fenomeno della privatizzazione della governance globale, parlando dell’OMS e del fatto che riceveva nel 2017 l’87% dei fondi dai privati, risultandone così di fatto controllata, nonché del ruolo di Bill Gates e della sua fondazione, la Bill and Melinda Gates Foundation (patrimonio stimato di 40 miliardi di dollari), coinvolta attivamente in una miriade di GPPP o partnership globali pubblico-privato, fra cui la GAVI Alliance, ovvero l’Alleanza globale per i vaccini nei Paesi poveri, una fondazione privata che coinvolge governi, case farmaceutiche, organizzazioni filantropiche, enti sovranazionali come l’OMS e la Banca Mondiale e soprattutto l’onnipresente fondazione di Bill Gates.

GAVI è il secondo contributore non istituzionale dell’OMS dopo la Bill and Melinda Gates Foundation (insieme versavano nel 2017 il 22% circa dei fondi, più degli USA, per intenderci), nonché suo primo beneficiario. Perciò, quello che Bill Gates decide, ha la potenzialità di influire sulle iniziative dell’OMS, benché non coincida necessariamente con il bene pubblico. Come affermava in un’intervista al New York Times (4/09/2014) la direttrice generale dell’OMS Margaret Chan, “il mio budget è altamente vincolato da ciò che io chiamo gli interessi dei donatori”. Che non devono essere solo umanitari,  se lo stesso Bill Gates dichiarava alla CNBC il 23/01/2019 dal forum di Davos che “investire nelle organizzazioni per la salute globale finalizzate ad incrementare l’accesso ai vaccini ha prodotto un ritorno economico di oltre 20 ad 1”, ovvero che “i poco più di 10 miliardi di dollari” investiti negli ultimi 20 anni hanno reso 20 volte tanto dal punto di vista economico, oltre a salvare vite umane, naturalmente. Un ritorno di oltre 200 miliardi di dollari, quindi.

Per il GAVI, che, ricordiamolo, è una fondazione privata di diritto svizzero, sono stati istituiti strumenti finanziari particolari. Interessante capire come funzionano. Troviamo nel sito ufficiale della rappresentanza italiana all’ONU:

“Oltre alle donazioni dirette degli stati membri, l’Alleanza utilizza meccanismi di finanziamento innovativi che contribuiscono a garantire la sostenibilità delle sue attività, quali l’AMC (Advance Market Commitment) e l’IFFIm (International Finance Facility for Immunization)”.

Non è argomento di cui si parli alla TV. La trasparenza democratica qui non è di casa, anche perché alcune di queste voci di spesa, stando a quanto dice l’opuscolo di Action Aid citato in fondo, sono messe in penombra nel Bilancio dello Stato, nel senso che gli oneri derivanti all’Italia dall’IFFIm compaiono nel bilancio 2008 al capitolo “L’Italia in Europa e nel mondo (4)”, ma vengono poi omessi nella legge di stabilità degli anni successivi, in quanto impegni internazionali e pluriennali, mentre quelli relativi all’AMC sono inseriti nella legge finanziaria per il 2008, all’art. 2 comma 373, ma senza essere espressamente menzionati, e collocati nel capitolo 7182, nel paragrafo “Incentivi alle imprese per interventi di sostegno”, che non sembra granché pertinente. I cittadini, insomma, possono capirci ben poco.

L’AMC e l’IFFIm, ai quali si aggiunge il Gavi Matching Fund, sono strumenti finanziari con i quali GAVI raccoglie donazioni pubbliche, garantiti dagli Stati, per pagare alle aziende farmaceutiche a prezzi calmierati, ma solo per pochi anni, prima di passare il debito ai Paesi beneficiari, i vaccini che vuole distribuire nei Paesi in via di sviluppo, seguendo priorità decise dall’alto dagli stessi finanziatori. Gli AMC sono impegni a lungo termine presi dai Paesi donatori per l’acquisto di prodotti (nel caso specifico un vaccino anti-pneumococco) con limitata domanda sul mercato. Gli IFFIm sono bond vaccinali ideati nel 2003 da Goldman Sachs per il governo britannico (come spiega il sito della banca d’affari) che vengono venduti sui mercati finanziari internazionali e generano interessi cospicui agli investitori finanziari (pagati, si suppone, dai Paesi aderenti).

L’Italia è fra i fondatori dell’IFFIm e si è impegnata per 635 milioni di dollari in 20 anni, mentre per l’AMC, di cui è il principale donatore, ha impegnato altri 635 milioni di dollari da erogarsi in 12 anni (2008-2019)[1]. Inoltre, l’Italia ha contribuito direttamente al GAVI per 120 milioni di dollari nel quinquennio 2016-2020[2]. Si tratta di somme ingenti, per un Paese in difficoltà come il nostro, che taglia da anni su sanità e istruzione. In base ai dati presenti sul sito di GAVI, abbiamo versato 1 miliardo 150 milioni di dollari circa fra il 2000 e il 2020, il 5,5% del totale.

In totale, dalla sua creazione fino al 2034 sono stati impegnati dai sostenitori del GAVI 23,5 miliardi di dollari.[3]  […] In questo modo il GAVI è divenuto il terzo maggior finanziatore multilaterale in sanità, dopo il Fondo Globale per la lotta contro l’AIDS, la Malaria e la Tubercolosi e la Banca Mondiale.

Come venga spesa questa montagna di denaro, oltre che in lucrosissime commesse di lungo termine alle multinazionali del farmaco e in interessi agli investitori internazionali, è oggetto di serrate critiche sulla stampa internazionale. I manager di GAVI, che gestiscono la salute mondiale senza rendere conto a nessuno e pretendendo di dettare legge al di fuori di ogni investitura democratica, dopo aver ricevuti i fondi per i poveri dalle nostre tasse tramite i finanziamenti governativi, guadagnano infatti cifre favolose. Nel 2017 il direttore del GAVI, Seth Berkley, epidemiologo prima al CDC e poi presso la Rockefeller Foundation, chiedeva a gran voce che gli “antivaccinisti” fossero esclusi dai social media, intendendo proprio chiunque fosse critico del programma vaccinale sotto qualsiasi aspetto. Il vibrante appello non è risultato inascoltato, come sappiamo. Berkley però fu definito dal Daily Mail (31/12/2016) come “il più grasso tra i grassi gatti della carità” per il fatto di aver intascato, come CEO del GAVI, due milioni di sterline di stipendio nei quattro anni precedenti, un contributo per la casa in aggiunta alle 623.370 sterline del suo stipendio, più un sussidio per le spese scolastiche, più l’esenzione fiscale sui redditi in Svizzera, per un accordo fatto dall’organizzazione. Sarà autentica filantropia?

Somme esorbitanti ed altrettanto oltraggiose per i contribuenti e per i destinatari degli aiuti vengono elargite anche ad altri dirigenti del GAVI e delle maggiori fondazioni filantropiche dedite al soccorso dei Paesi poveri. “Certamente non c’è rischio di povertà fra i suoi personaggi di vertice. Secondo i dati più recenti del Modello 990 USA [dichiarazione dei redditi delle organizzazioni non-profit], il GAVI ha passato ai 12 dipendenti di vertice più di 188mila sterline nel pacchetto retributivo nel 2014”, scrive il Daily Mail. Certo una bella notizia per i tartassati contribuenti italiani.

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IFFIm è formalmente una società di diritto inglese particolare (che ha benefici fiscali): una charity company con sede in Gran Bretagna. Le sei persone che compongono il consiglio di amministrazione vantano una profonda esperienza nel settore bancario, finanziario, della salute e della “finanza sovranazionale di sviluppo”. Ha la forma di una partnership fra GAVI, gli Stati donatori (Regno Unito, Italia, Francia, Spagna, Svezia, Norvegia, Australia, Paesi Bassi e Sudafrica), gli investitori privati, la Banca Mondiale.

Ha lo scopo di rendere disponibili immediatamente per GAVI i soldi che gli stati sovrani si sono impegnati a donare a favore di GAVI nei prossimi anni, con lo scopo preciso di finanziare programmi di vaccinazioni nei paesi “poveri”. In parole povere, IFFIm trasforma i soldi futuri promessi dagli stati in soldi presenti, attraverso i “vaccine bonds”, emessi in collaborazione con la Banca Mondiale.

I vaccine bonds sono titoli obbligazionari che vengono venduti agli investitori privati internazionali, i quali ci guadagnano “an attractive rate of return”, come dice il sito (ovvero succosi interessi). La filantropia ha i suoi vantaggi, come abbiamo visto, fiscali e finanziari.

Gli AMC, introdotti nel 2007, servono a finanziare l’acquisto del costosissimo vaccino anti-pneumococco, che costituisce da solo il 44% della spesa di GAVI, data la diffusione delle malattie da pneumococco, come la polmonite, nei Paesi in via di sviluppo e dato il prezzo elevato del prodotto.

Medici senza Frontiere ha accusato più volte negli ultimi anni la Pfizer e la Glaxo, che vendono il vaccino antipneumococco in regime di duopolio mondiale, di imporre ai Paesi destinatari degli aiuti prezzi opachi, perché diversi per ogni Paese, ed artificiosamente gonfiati, addirittura più alti che nei Paesi occidentali, in ciò favoriti dal GAVI, che elargisce i fondi alle due multinazionali senza contrattare prezzi più ragionevoli. Il problema è serio, scriveva MSF nel 2015, perché, una volta cessato il finanziamento di GAVI, questi Paesi dovranno pagare cifre esorbitanti per quei vaccini, sottraendoli ai loro magri bilanci per la salute: 6 volte tanto in Tunisia e Marocco, dove il vaccino costa più che in Francia, per esempio, e 15 volte tanto in Angola e Indonesia. Ancora a fine 2019, nonostante le ingenti somme anticipate per lo sviluppo del vaccino antipneumococco (1,2 miliardi di dollari, oltre i 50 miliardi fruttati da questo solo vaccino), GSK e Pfizer ne tenevano alto il prezzo per il GAVI.[4] Come c’è da aspettarsi, le multinazionali perseguono il profitto, senza altre considerazioni. E qui i profitti sono da capogiro.

Nella seconda edizione (2016) del suo rapporto sui prezzi dei vaccini The right shot, MSF mostra come nei paesi più poveri vaccinare un bambino oggi sia 68 volte più costoso rispetto al 2001. Che la forsennata campagna mondiale per le vaccinazioni, di cui GAVI è paladina, abbia avuto un ruolo nel fare lievitare i prezzi? In Italia, per esempio, con l’entrata in vigore del decreto Lorenzin (2017), i prezzi dei vaccini era lievitato fra 2016 e 2017 del 62%, come osservava il quotidiano “La Verità” (17/01/2019), aumentando in un solo anno di 130 milioni di euro, ad esclusivo vantaggio delle aziende produttrici, che detengono i brevetti dei vaccini polivalenti, e a svantaggio della spesa sanitaria ed assistenziale per i cittadini, che viene sbilanciata da questa voce.

Ma perché tanto improvviso accanimento sui vaccini? Più in generale, quali sono le criticità di questo trasferimento di potere dal pubblico al privato? Quali conseguenze concrete ha per la nostra vita? Ne parleremo nel prossimo articolo. Il quadro comincerà a farsi interessante.

Ringrazio Guido Grossi per il suo contributo tecnico a questo articolo.

Per approfondire, si può leggere il documento online di V. Boggini e D. Sabuzi Giuliani, L’Italia e l’Alleanza Globale per le Vaccinazioni. Verso un nuovo approccio per la partecipazione italiana al GAVI, la partnership pubblico privata per l’immunizzazione, scritto per Action Aid, Aprile 2016.


[1] Fonte: Action Aid, L’Italia e l’Alleanza Globale per le Vaccinazioni. Verso un nuovo approccio per la partecipazione italiana al GAVI, la partnership pubblico privata per l’immunizzazione, Aprile 2016 (disponibile online al link https://www.actionaid.it/app/uploads/2016/04/AA_GAVI.pdf).

[2] Action Aid, L’Italia e l’Alleanza Globale, cit., p. 15.

[3] Action Aid, L’Italia e l’Alleanza Globale, cit., p. 8.

[4] https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/polmonite-il-nostro-appello-per-i-20-anni-del-gavi/

http://www.vita.it/it/article/2019/12/03/polmonite-msf-lalleanza-globale-per-i-vaccini-smetta-di-finanziare-pfi/153486/


Articolo pubblicato sul numero 11 (marzo 2020) di Sovranità popolare.

 

 

Quando il privato governa il pubblico: OMS e dintorni

Infografica pubblicata sul quotidiano La Verità del 10/12/2018.

Nell’enorme complessità del fenomeno mondiale che chiamiamo “globalizzazione”, un filo rosso sembra collegare fra loro eventi e processi diversissimi: la crescente e sempre più pervasiva commistione fra pubblico e privato. Palesemente guidata da un’ideologia neoliberista, orientata al ripristino del potere di classe delle élite, che nel secondo dopoguerra veniva eroso dall’avvento di democrazie partecipative e dalla crescita della consapevolezza dei diritti da parte dei popoli, la globalizzazione economica, dagli anni ’80, ha seguito la via delle privatizzazioni, della deregolamentazione, delle liberalizzazioni selvagge, al fine di tutelare la libertà di impresa delle multinazionali e il libero movimento dei capitali finanziari. Lo Stato, visto come intralcio alla ”libertà” dei mercati, anziché come espressione suprema della sovranità popolare e istituzione mediatrice fra i diversi interessi presenti nella società civile, diventa il bersaglio delle politiche mondialiste, che mirano a spostare la sovranità dai cittadini ai “mercati”, espressione degli interessi di pochi grandi gruppi familiari, bancari e finanziari.

Le partnership globali pubblico/privato. Uno degli strumenti più utilizzati a questo fine sono le cosiddette “partnership globali pubblico/privato” (GPPP), ovvero degli enti ibridi, dall’incerta natura giuridica e privi di qualsivoglia legittimazione popolare, che vedono alleati soggetti pubblici (i governi, spesso all’insaputa dei loro rappresentati) e soggetti privati, costituiti da multinazionali, banche, operatori finanziari (pressappoco gli stessi dovunque). Al di là delle intenzioni dichiarate, sempre filantropiche, benefiche e illuminate, in questo tipo di partnership spesso il pubblico mette il denaro e i privati godono dei vantaggi.

John Kenneth Galbraith, in  L’economia della truffa (RCS, 2004), descrive il fenomeno a proposito delle spese militari, per le quali pubblico è il denaro, ma privati i beneficiari, e  che influenzano pesantemente la spesa pubblica, spingendo all’acquisto di costosissimi armamenti dalle aziende private (il famigerato “complesso militare-industriale” di cui parlava il presidente Dwight D. Eisenhower nel 1961). Peter Buffett, figlio del più noto Warren, che nel 2017 era il secondo uomo più ricco al mondo, ne parla con cognizione di causa sul Washington Post (26 luglio 2013) a proposito del “complesso caritativo-industriale”, ovvero quel gigantesco intreccio di interessi che governa le politiche mondiali della salute e degli aiuti ai Paesi poveri, da lui definito anche “colonialismo filantropico”.

Sempre di colossale business si tratta, con aspetti perfino più inquietanti, perché i mercanti di morte sono identificati come tali, mentre qui i membri dell’élite si presentano con il volto angelico dei salvatori dell’umanità. Da anni, essi investono somme da capogiro nel settore non-profit: Buffett indicava per il 2012 un giro d’affari di 316 miliardi di dollari solo negli USA, con 9,4 milioni di addetti. Con il peso di somme così ingenti, i ricchi finanziatori, che incontrano nei meeting filantropici i capi di Stato e i dirigenti delle multinazionali, “cercano con la loro mano destra risposte ai problemi che altri nella stessa stanza hanno creato con la sinistra”. Ovvero, decidono soluzioni dall’alto per i problemi dell’umanità causati da quello smisurato travaso di ricchezza dai poveri ai ricchi in cui consiste la globalizzazione neoliberista. Donare lava la coscienza, ma non elimina la disuguaglianza, conclude Peter Buffett. Le soluzioni proposte, infatti, arricchiscono molte tasche, ma non modificano i rapporti di forza e le cause strutturali dei problemi globali. In questa ansia dirigistica, i grandi gruppi privati e i filantropi globali di fatto controllano le politiche di enti istituzionali come l’OMS, facendo perdere loro ogni terzietà.

L’OMS. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), organo delle Nazioni Unite, ha come scopo istituzionale la tutela della salute, intesa non come assenza di malattia, ma come “condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale”. È governata da 194 stati membri attraverso l’Assemblea mondiale della sanità ed è un soggetto di diritto internazionale, verso il quale gli Stati hanno l’obbligo di cooperare. Ha la fondamentale funzione di coordinare le politiche sanitarie dei Paesi membri, specie in presenza di gravi epidemie. Dovrebbe farlo in modo trasparente, dato il suo status di agenzia imparziale, che agisce nell’interesse pubblico.

Come per la Difesa, però, a fronte di un progressivo disinvestimento degli Stati, si sta verificando una progressiva occupazione dell’ente da parte delle aziende private, che hanno finanziato l’87% dei 4 miliardi e mezzo di dollari delle entrate OMS per il biennio 2016-17. Una fetta consistente dei 3 miliardi 900 milioni di dollari di provenienza privata è stata versata dalla Bill & Melinda Gates Foundation, seconda in classifica dopo gli USA[1]: ben 901 milioni di dollari, di cui quasi 434 vincolati a programmi specifici (earnmarked): il che vuol dire che le politiche sanitarie le decidono i finanziatori, sulla base di criteri diversi da quelli dell’interesse pubblico. Non certo per amore disinteressato. Si tratta infatti di un modello organizzativo intenzionalmente commerciale (business-like).

Il quotidiano “La Verità” (10/12/2018) cita i dati del British Medical Journal: “nel 2017 l’80% dei fondi ricevuti dall’ agenzia Onu era earmarked“. Come scrive il quotidiano Repubblica,

“Ormai l’OMS è costretta a tenere conto di quello che Gates ritiene prioritario, come nel caso della polio”, obietta il professor Flahault [direttore dell’Istituto di Sanità Globale della facoltà di medicina dell’Università di Ginevra.] […] Da sottolineare, pure, che mentre nel 1970 l’80% del bilancio dell’Oms era costituito dai contributi degli Stati membri e il 20% da quelli di privati, oggi il rapporto è l’esatto contrario. Con il risultato che interi dipartimenti dell’organizzazione sono finanziati, per intero, dalla fondazione Bill & Melinda Gates. “Questo ha, inevitabilmente, un impatto. Non tanto su quello che l’OMS dice ma, piuttosto, su quello che omette di dire”, ha dichiarato, alla TV pubblica elvetica, Nicoletta Dentico, direttrice della ONG di Ginevra, Health innovation in practice.

Fra le cose che l’OMS non dice si possono trovare, per esempio, i dati sui morti a causa dei farmaci, che secondo Peter Gøtzsche, Professore di Clinical Research Design and Analysis all’Università di Copenhagen e a lungo responsabile del Cochrane Institut (finché non l’ha comprato Bill Gates), è la terza causa di morte, dopo le patologie cardiovascolari e l’ictus, con una stima per difetto di 200mila morti all’anno sia negli USA che nell’UE (P. Gøtzsche, Medicine letali e crimine organizzato, G. Fioriti ed., p. 363-364), mentre sul sito OMS non vengono considerati nelle statistiche. Oppure i dati completi sui danni da vaccino o sul fenomeno del disease mongering [2] , cioè l’invenzione di malattie nuove per vendere farmaci a persone sane o informazioni sulle pressioni da parte delle aziende private per l’impiego  di farmaci, per la definizione dei valori soglia di diverse patologie, per le campagne di prevenzione da parte dell’OMS, che si trova nella posizione di controllore e controllato insieme. Soprattutto, sono dati per scontati gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti da utilizzare, entrambi in gran parte decisi dai finanziatori, come insegna il caso delle campagne di vaccinazione antipolio in India, dove la malattia è quasi estinta e dovuta ormai solo ai vaccini, ma a cui Gates ha voluto destinare ben 894,5 milioni di dollari, 10 volte di più che alla prevenzione dell’Aids, la quarta causa di mortalità nei paesi poveri.

E chi sono i finanziatori privati? Oltre alla Bill & Melinda Gates Foundation (che vanta un patrimonio da 40 miliardi di dollari), soprattutto le multinazionali del farmaco (in testa Sanofi, Gilead Sciences, GlaxoSmithKline e Hoffmann-LaRoche, Bayer, Merck) e la GAVI Alliance (Alleanza globale per le vaccinazioni), a loro volta finanziata da un ventaglio di soggetti privati e pubblici.

La GAVI Alliance. La GAVI Alliance è una partnership pubblico-privato, emanazione anch’essa della Bill & Melinda Gates Foundation, che ha come finalità la diffusione delle campagne vaccinali, specie nei Paesi in via di sviluppo. Dal punto di vista giuridico, è una fondazione privata di diritto svizzero, non costituita in base ad un trattato internazionale. L’Italia è un Paese finanziatore del GAVI dal 2006, il terzo per entità delle donazioni, avendo promesso un contributo diretto al GAVI di 120 milioni di dollari per il periodo 2016-2020. Fanno parte della GAVI Alliance, come recita il sito della rappresentanza italiana all’ONU, “paesi e settore privato, come ad esempio la Fondazione Bill & Melinda Gates, produttori di vaccini sia dei paesi sviluppati che in via di sviluppo, istituti specializzati di ricerca, società civile e organizzazioni internazionali come OMS, UNICEF e Banca Mondiale”. A sua volta, GAVI Alliance è partner del GHSA (Global Health Security Agenda, che è un altro ente sovranazionale di natura incerta, nato negli USA nel 2009 per direttiva presidenziale al fine di contrastare le minacce di bioterrorismo, grazie al quale l’Italia ha introdotto nel 2017 l’obbligo vaccinale per 10 vaccini in assenza di epidemie) a cui concorrono governi e soggetti privati (sempre gli stessi).

I membri del GAVI, dal sito omonimo.

Quindi, GAVI finanzia l’OMS, che ha compiti di coordinamento, vigilanza e controllo, in quanto istituzione pubblica, ed è finanziata a sua volta anche dagli Stati, che versano denaro per le campagne vaccinali, che viene speso pagando le ditte produttrici (private). Le aziende farmaceutiche sono le destinatarie finali dei fondi. Verrebbe da pensare che, poiché le aziende farmaceutiche incassano il costo dei vaccini e contemporaneamente  finanziano l’OMS, l’OMS sia di fatto al loro servizio. Controllori e controllati, decisori e beneficiari coincidono, e la completa commistione è rafforzata dal fenomeno ormai fuori controllo delle sliding doors, delle porte girevoli fra sanità pubblica e industria farmaceutica che caratterizza le carriere di molti esperti in ambito medico, aziendale e politico.

E come funziona? Troviamo sempre nel sito ufficiale della rappresentanza italiana all’ONU:

“Oltre alle donazioni dirette degli stati membri, l’Alleanza utilizza meccanismi di finanziamento innovativi che contribuiscono a garantire la sostenibilità delle sue attività, quali l’AMC (Advance Market Commitment) e l’IFFIm (International Finance Facility for Immunization)”.

Approfondiremo il funzionamento di questi strumenti finanziari, nei quali l’Italia gioca un ruolo di primo piano per entità degli stanziamenti, e in generale la complessa galassia di enti di varia natura che si occupano della salute a livello globale in successivi articoli, sia nella rivista cartacea sia online. Non mancheranno le sorprese.

Articolo pubblicato sul numero 1/2020 della rivista Sovranità popolare.

[1] “Nel 2017 l’Italia è stata il 12esimo Paese donatore con un totale di contributi obbligatori e volontari pari a USD 27.153.812”. (https://italiarappginevra.esteri.it/rappginevra/it/italia_e_onu/san/san.html)

[2] Sul fenomeno del disease mongering è illuminante il documentario della RAI Inventori di malattie.