Piatti di pasta brulicanti di vermi e altri insetti, fritture di cavallette e blatte, latte di scarafaggio, sontuosi panini farciti con larve e presentati come una specialità gastronomica e una necessità senza alternativa. La galleria degli orrori alimentari si arricchisce di giorno in giorno di nuovi, stomachevoli risvolti.
Siamo all’ennesima Finestra di Overton, una delle tante aperte in questi tre anni di colpo di stato globale. I padroni del mondo vogliono farci diventare mangiatori di insetti e non da ora. Per capire che non si tratta di un caso, basta fare qualche passo indietro. Nel 2013 la FAO, organismo dell’ONU per il cibo e l’agricoltura, pubblica un documento di 200 pagine[1], conclusivo di un percorso pluriennale di ricerca, intitolato “Insetti commestibili. Prospettive future per il cibo e per la sicurezza alimentare”. Già nel titolo e nella prima riga della premessa compaiono due concetti-chiave del linguaggio globalista e malthusiano che ben conosciamo: la presunta “sicurezza”, in questo caso alimentare, e l’ossessione per l’aumento della popolazione mondiale: “È largamente accettato che intorno al 2050 il mondo ospiterà 9 miliardi di persone. Per accogliere questo numero, l’attuale produzione di cibo dovrà almeno raddoppiare”. La ricetta fornita unisce il disprezzo per la plebe umana e il paternalismo tipico dell’élite che, intanto, pasteggia a caviale e champagne, senza dover rendere conto a nessuno dei suoi progetti insensati e liberticidi. La retorica (ingannevole) è sempre la stessa: “Non c’è alternativa” (solo per la plebe, naturalmente). Per la stesura del documento, la FAO collaborò con il Laboratorio di Entomologia dell’Università di Wageningen in Olanda, guarda a caso il primo Paese europeo a somministrare insetti ai bambini nelle mense scolastiche.
Certamente è vero che gli insetti costituiscono una fonte di cibo per numerose popolazioni da molto tempo. Ma, in primo luogo, non costituiscono né l’unica né la principale fonte di proteine, ma solo una varietà di cibo in una dieta molto più ricca e varia, e, in secondo luogo, nella scelta di ciò che è “buono da mangiare” hanno un ruolo fondamentale i fattori culturali. Secondo la teoria del foraggiamento ottimale dell’antropologo Marvin Harris, un cibo è pensato culturalmente come commestibile se è disponibile in grande quantità e se procurarselo costa meno calorie che mangiarlo. Gli insetti in Europa sono molto meno presenti che in altri continenti, sono dispendiosi da reperire e sono disponibili fonti alternative di proteine; questo spiegherebbe perché non sono tradizionalmente considerati cibo. Il rifiuto culturale di un alimento è accompagnato da disgusto, ma nel futuro mondo senza libertà e senza identità culturali tutto sarà possibile a chi avrà il monopolio delle risorse alimentari e potrà distribuirle secondo gli standard che preferisce. Come non accettare gli insetti, nuovo cibo per nuovi poveri, se l’alternativa sarà la fame per i più? Descrive bene questa situazione il film allegorico del regista coreano Bong Joon Ho “Snowpiercer”, uscito nel 2014. Da guardare.
Il problema del disgusto per l’entomofagia è infatti al centro delle preoccupazioni del World Economic Forum. In un articolo[2] del luglio 2021, in piena pandemia, che inizia con la frase rituale “La popolazione mondiale raggiungerà i 9,7 miliardi entro il 2050” (proprio la stessa di prima!), viene spiegato che gli insetti sono fonte di proteine, sono salutari, sono prodotti in modo “sostenibile” (altra parola magica), sono un ottimo fertilizzante naturale, ma che il principale ostacolo al loro consumo alimentare sono le “idee preconcette” (a questo si riduce la cultura!). Due anni prima, sempre sul sito del WEF, uno psicologo, professore all’Università di Auckland, scriveva che il disgusto, pur avendo l’ovvia utilità di produrre avversione per cibi dannosi, presenta anche il limite di impedire l’adozione di “stili di vita più sostenibili” (ancora!), come mangiare fonti alternative di proteine o bere acqua riciclata (!). Il professor Consedine sa bene che la risposta del disgusto si forma nell’infanzia ed è difficile da modificare. Ma ha la soluzione: “le risposte che implicano idee culturalmente condizionate su ciò che è ‘naturale’ possono essere modificate con il tempo”. Basta presentare gli insetti o l’acqua riciclata come naturali… Con il tempo, l’opportuna campagna di “naturalizzazione” e “a little nudging”, una spintarella gentile (così si chiama la manipolazione comportamentale del popolo bue), avremo il risultato. Per capire che cos’è il nudging, basta guardare il documentario sulle mense scolastiche olandesi. La finestra di Overton scorrerà liscia fino all’ultima casella.
Intanto l’UE ha messo la riforma della produzione di cibo e la sicurezza alimentare fra le priorità del New Green Deal. E che cosa c’è di più sostenibile e sicuro degli insetti? L’obiettivo è «aumentare la disponibilità e la fonte di proteine alternative come piante, microbi, marine e proteine a base di insetti e sostituti della carne». L’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, su richiesta della Commissione Europea ha espresso un parere scientifico e approvato l’uso alimentare dei vermi essiccati della farina come “nuovo cibo”, sulla base del Regolamento Europeo 2015/2283. Si possono utilizzare sotto forma di snack, farina o ingrediente da aggiungere nelle proprie ricette. Il 4 maggio 2021 gli Stati membri dell’UE, su proposta della Commissione, ne hanno autorizzato il consumo. Per questo li troviamo già sugli scaffali del supermercato. Il “Sole 24 ore” a maggio 2021 osservava che “Nel mondo il mercato degli insetti ha superato i 55 milioni di dollari nel 2017e secondo Global Market Insights progredirà fino a toccare i 710 milioni di dollari a valore nel 2024. L’Ipiff stima che ogni anno in Europa siano prodotte più di 6mila tonnellate di proteine di insetti e le previsioni al 2030 sono di 3 milioni di tonnellate, con un potenziale di crescita compreso in un range tra i due e i cinque 5 milioni di tonnellate l’anno”.
Molte altre specie di insetti sono sotto esame da parte dell’EFSA. Perciò dobbiamo aspettarci un incremento esponenziale di spot, articoli scientifici, programmi televisivi, testimonial famosi che ci inonderanno di informazioni su quanto sono buoni, sani, naturali, ecosostenibili ed equi gli insetti e l’acqua sporca e su quanto siamo buoni noi a proteggere il pianeta mangiandoli. La psicologia verrà di nuovo messa al servizio della nuova causa e di spintarella in spintarella sarà messa a rischio di estinzione la straordinaria cultura alimentare del nostro Paese. Del resto, non era il Rapporto[3]“True Cost of Food” della Fondazione Rockefeller a indicare che la colpa del danno ambientale è degli agricoltori familiari tradizionali e che il rimedio sono i prodotti OGM con il loro seguito di veleni?
“L’uomo è ciò che mangia”, scriveva nell’Ottocento il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. Ciò che mangiamo ha un effetto sulla nostra psiche e sulla nostra anima. Sarà un cattivo pensiero, ma poiché non c’è alcuna necessità di mangiare insetti o di bere acqua dal trattamento di urina e feci, verrebbe da dire che cambiare il cuore e l’anima umani, per degradarli al livello più basso del mondo vivente, sia l’obiettivo finale. Un obiettivo in linea con la visione distopica della società umana ridotta ad alveare o a sciame come quella anonima degli insetti, senza individualità, senza libertà, schiacciata con la fame sotto un controllo totalitario senza scampo, senza dignità e senz’anima. Non è solo questione di proteine. Bisogna resistere.
[1] AA. VV., Edible insects: future prospects for food and feed security, FAO FORESTRY PAPER 171, Rome 2013.
[2] Why we need to give insects the role they deserve in our food systems
[3]True Cost of Food: Measuring What Matters to Transform the US Food System.
Articolo pubblicato su Sovranità Popolare, n° 5, anno 4°, dicembre 2022.
Ci risiamo. Dopo l’imposizione dell’obbligo vaccinale ai bambini della legge Lorenzin, la morsa della distruzione dei diritti inviolabili riconosciuti dalla Costituzione si stringe ulteriormente, colpendo gli operatori sanitari, per arrivare un passo per volta a tutti, come previsto.
Considerato dal punto di vista etico-giuridico l’obbligo vaccinale ci pone di fronte ad una questione di vitale importanza per tutti noi: può lo Stato imporre ai cittadini un intervento sanitario universalmente obbligatorio contro la loro volontà? Può violare il principio dell’inviolabilità del corpo? E può fare questo dietro minaccia della perdita, provvisoria, ma prolungata, del sostentamento economico, del demansionamento, della sospensione senza demerito dall’Ordine professionale?
È ovvio che il “può” va inteso nel senso di “ha il diritto”. Nel comune sentire, lo Stato ha il diritto di costringere quando è in gioco un bene maggiore, in questo caso la salute pubblica, in altri casi la sicurezza o l’interesse generale. Ma in uno Stato di diritto e soprattutto in uno Stato democratico il potere dello Stato è soggetto a pesanti limitazioni. Se così non fosse, il naturale squilibrio di forze fra Stato e cittadini trasformerebbe questi ultimi in sudditi senza diritti. Solo se il fine fosse trasformare i cittadini in sudditi di un potere autoritario potrebbero trovare spazio misure tanto coercitive da rasentare l’estorsione. In uno Stato democratico, la sovranità è dei cittadini, che la esercitano sulla base della Costituzione, la quale a sua volta è frutto di un patto, di un contratto bilaterale fra i cittadini e lo Stato. Lo Stato è al servizio dei cittadini, non viceversa; di per sé, lo Stato non è altro che l’espressione della comune appartenenza dei cittadini ad un unico corpo sociale.
Come in ogni faccenda complessa, è in gioco un bilanciamento di diritti e di doveri. Lavorare è un diritto, tanto fondamentale da essere collocato all’articolo 1 della Costituzione. Con questo decreto 44/2021, si sta praticamente stabilendo il principio che esiste un diritto tiranno, quello alla salute pubblica, al quale tutti gli altri devono essere subordinati e sacrificati, compreso il diritto al lavoro, al reddito, all’istruzione, all’esercizio della libertà personale, della libertà di circolazione, della libertà di espressione, della libertà di scelta delle cure, della salute personale, del tutto accessoria rispetto a quella collettiva e di cui lo Stato si fa unico titolare, al punto da trasformare un diritto soggettivo in un obbligo soggettivo. Tali diritti sono codificati nei trattati internazionali e nei documenti di bioetica e rappresentano una conquista di civiltà irrinunciabile.
Il Codice di Norimberga, redatto nel 1946 dopo i processi ai medici nazisti colpevoli di aver condotto esperimenti atroci su esseri umani, cercò di stabilire il confine (assai labile, come si accorsero i giudici) fra gli interventi leciti e quelli illeciti in ambito medico, soprattutto in ambito sperimentale. E la prima regola che venne individuata dai medici statunitensi incaricati della stesura fu la seguente:
«la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso, e dovrebbe quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; dovrebbe avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia».
La World Medical Association ribadiva inoltre, nella Dichiarazione di Helsinki del 1964, il concetto che solo il consenso esplicito poteva giustificare moralmente la ricerca sui soggetti umani e che “nella ricerca medica gli interessi della scienza e quelli della società non devono mai prevalere sul benessere del soggetto“. Da queste riflessioni sono nati il consenso informato e la riflessione bioetica. Pur con differenze culturali e filosofiche, la bioetica – in particolare quella anglosassone – tende a considerare fra i principi irrinunciabili in ambito medico l’autonomia del paziente (ovvero la libertà di scelta), la beneficità (ovvero l’effettivo beneficio) e la non maleficità dell’intervento (il principio ippocratico primum non nocēre), la giustizia rispetto l’accesso alle cure.
Dai documenti di etica medica deriva un primo punto fermo: un intervento medico si giustifica solo nell’interesse esclusivo di chi lo riceve, solo con il suo consenso espresso, solo se non fa un danno superiore ai benefici che apporta, solo se arreca un beneficio al soggetto. Non si giustifica con un interesse superiore della ricerca scientifica e della società. La CRC pone inoltre come criteri irrinunciabili di ogni intervento la non discriminazione. Tutto l’opposto di quanto sta avvenendo per l’obbligo vaccinale ai sanitari, dato che si tratta non di un vaccino, ma di un farmaco genico sperimentale dall’efficacia e dalla sicurezza ignote, e per il cosiddetto “passaporto vaccinale”, perfetto strumento di discriminazione e di controllo della popolazione.
L’articolo 32 della Costituzione è chiaro:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Che nel caso della terapia genica per il Covid si possa trattare di una violazione dell’integrità della persona è fuori discussione: se rifiutare di sottoporsi ad una sperimentazione medica imposta per legge comporta una perdita o una sospensione di diritti essenziali e irrinunciabili, allora il cittadino diventa una cavia contro la sua volontà, poco più che bestiame da marchiare.
Manca solo l’ultimo passaggio della coercibilità, che finora è sempre stata esclusa dalla giurisprudenza, e siamo di nuovo al nazismo. Non bisogna dimenticare che il nazismo si è imposto grazie a schiere di medici allineati con il potere e ha giustificato lo sterminio con il bene della nazione. Un passo in quella direzione è inaccettabile da chiunque difenda i valori della democrazia. Eppure, il D.L. 44 del 1 aprile già spalanca il baratro quando assegna (art. 5) al direttore sanitario della ASL il potere di decidere la vaccinazione alle persone dichiarate incapaci, sottraendolo ai familiari e al tutore. Quando lo Stato decide per i cittadini in materia di salute, la libertà è persa del tutto.
Somministrare in modo indiscriminato grandi quantità di farmaci a soggetti sani, senza alcuna conoscenza preventiva dello stato di salute, di un’eventuale immunità preesistente, o di controindicazioni alla somministrazione non risponde né a criteri etici né a criteri scientifici. E non ha a che fare con l’utilità o meno dei vaccini. Un farmaco non è utile a prescindere da chi lo assume. Per fare un esempio, anche se gli antibiotici sono una benedizione per l’umanità, questa non è certo una ragione per somministrarli a tutti, anche a soggetti sani o allergici.
La Corte Costituzionale si è espressa più volte in merito all’obbligatorietà delle vaccinazioni pediatriche, individuando in esse un vantaggio sia per il minore sia per la collettività: con la sentenza 23 giugno 1994 n. 258 ha chiarito che le leggi che impongono l’obbligo vaccinale non contrastano con l’art. 32 Cost., purché “il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; sia prevista, nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio − ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica − comunque la corresponsione di un equo indennizzo in favore del danneggiato“. Nella stessa pronuncia, la suprema Corte ha aggiunto un’importante invito al legislatore “affinché, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, siano individuati e siano prescritti in termini normativi, specifici e puntuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze“.
Secondo la Corte, quindi, l’obbligo si giustifica a determinate condizioni, che sono appunto quelle che dovrebbero essere accertate. È evidente, infatti, che i danni da vaccino esistono e possono essere anche gravi, come testimoniano le numerose sentenze che impongono il risarcimento dello Stato ai bambini danneggiati in modo permanente dalle vaccinazioni. In questo caso particolare, le condizioni poste non sono soddisfatte: il cosiddetto “vaccino” Covid non blocca il contagio e nemmeno l’infezione; mancano tutti gli studi sugli effetti a medio e lungo termine, sulle interazioni con altri medicinali e sulle controindicazioni per particolari categorie di soggetti, come le donne in gravidanza; non garantisce un’immunità duratura; non protegge da tutte le varianti previste di un virus a RNA; morti e danneggiati sono già molto numerosi. Benché presentato dal marketing farmaceutico come l’unica via d’uscita al Covid, in realtà non sembra affatto indispensabile, visto che esistono molte cure efficaci per questa malattia, benché accuratamente osteggiate, e il tasso di mortalità sotto i 70 anni, secondo le meta-analisi di John P.A. Ioannidis, è dello 0,05%. In più, né le case farmaceutiche né i medici somministratori si assumono la responsabilità penale dell’inoculazione in caso di danno o morte. Che cosa differenzia dunque un vaccinato da un non-vaccinato, se entrambi possono contagiare altri e se l’immunità è di breve durata? E che vantaggio costituisce per la salute pubblica la vaccinazione universale, se come dicono validi epidemiologi, vaccinare durante un’epidemia rischia di selezionare varianti virali più aggressive, senza impedire il contagio?
Secondo la Dichiarazione di Helsinki, nessuno può essere costretto ad un intervento medico potenzialmente dannoso per arrecare beneficio a qualcun altro. In questo caso, il beneficio è pure assente. Tale principio è ribadito dalla Convenzione di Oviedo, recepita in Italia con legge n.145/2001:“Articolo 2 – Primato dell’essere umano. L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza”.
Obbligare a vaccinarsi in assenza di pericolo diretto dei soggetti interessati è una violazione del principio di non maleficità: poiché va bilanciato di caso in caso il rapporto costi-benefici di un vaccino, se non c’è beneficio diretto, ma è presente un danno anche solo potenziale, non si giustifica l’intervento, e comunque non può essere obbligatorio. Invece, si sta parlando con insistenza di estendere la vaccinazione perfino a bambini e adolescenti sani, finora toccati marginalmente e in misura lieve dall’epidemia.
Disporre un trattamento sanitario obbligatorio che non rechi un beneficio diretto al soggetto che vi è sottoposto(principio di beneficità) viola il principio di necessità e di urgenza e viola la Convenzione di Oviedo, che nel sommario iniziale recita testualmente:
“La Convenzione consacra il principio che la persona interessata deve dare il suo consenso prima di ogni intervento, salvo le situazioni di urgenza, e che egli può in ogni momento ritirare il suo consenso. Un intervento su persone incapaci di dare il proprio consenso, per esempio su un minore o su una persona sofferente di turbe mentali, non deve essere eseguito, salvo che non produca un reale e sicuro vantaggio per la sua salute”.
All’opposto, sugli anziani delle RSA si sta procedendo anche senza il consenso dei familiari con un farmaco sperimentale privo di approvazione definitiva.
Un farmaco si somministra a chi ne ha bisogno, secondo una valutazione in scienza e coscienza, non indiscriminatamente a tutti, perché così è evidente che, statisticamente, qualcuno ne riporterà dei danni anche gravi, e questo è sempre e comunque eticamente inaccettabile. Nel caso del non-vaccino Covid non è neppure possibile esprimere un consenso davvero informato, mancando molte informazioni indispensabili per assenza di adeguate verifiche sperimentali. Una cambiale in bianco, insomma. Imporre un obbligo in queste condizioni sembra rispondere più agli interessi dei produttori che a quelli dei cittadini, della cui salute lo Stato in questa pandemia non ha mostrato finora alcuna volontà di volersi occupare seriamente. Basti pensare al numero di morti per cure sbagliate, di poveri, di disperati, di suicidi, di persone mentalmente devastate, di bambini e adolescenti danneggiati che questa sciagurata gestione sanitaria ha già lasciato dietro di sé.
Articolo pubblicato su Sovranità popolare, aprile 2021
“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”
Paolo Borsellino
L
a citazione del grande magistrato italiano (parafrasi di un passo del Giulio Cesare di Shakespeare) racchiude in due poetiche affermazioni l’alternativa tra il lasciarsi sopraffare dalla paura e il riuscire superarne il potere paralizzante. Naturalmente la morte quotidiana si colloca su un piano diverso rispetto alla morte fisica, nondimeno il valore ad essa attribuito non è sentito affatto come inferiore. Molte altre citazioni avrebbero potuto aprire questo articolo con analoga efficacia, citazioni tratte dalla narrativa, dal cinema o da grandi biografie, come in questo caso. Ma che cosa ha da dire a proposito la psicologia, che cosa sappiamo sulla qualità della vita conseguente al vivere nella paura oppure – nelle parole di Amleto – “to take arms against a sea of troubles, and by opposing end them”?
La psicologia ha molto da dire, e molto ha detto, sulla paura, sullo stato ansiogeno conseguente, sulle fobie e sulle conseguenze a lungo termine di un evento traumatico (PTSD). Sappiamo che la paura detiene un’importante funzione evolutiva, ci allerta rispetto a un pericolo e attiva rapidamente le risorse per fronteggiarlo immediatamente (fight, flight, or freeze). Secondo il noto neurobiologo Joseph LeDoux (1996), uno stimolo percettivo (ad esempio una canna da irrigazione in giardino) raggiunge il talamo che smista il segnale “grezzo” sia all’amigdala che alla corteccia sensoria. La prima via è rapida, ma imprecisa e se lo stimolo può sembrare pericoloso (ad esempio un serpente) mette immediatamente in allerta, suscitando una rapida risposta. In alcuni casi una frazione di secondo può fare la differenza. La seconda via è più lenta, ma elabora accuratamente il segnale, e riconoscendolo correttamente (no, è solo una canna da irrigazione), può interrompere lo stato di allerta, se riconosciuto come improprio. La paura ci è quindi necessaria in limitate e specifiche situazioni. Sappiamo tuttavia anche che se l’attivazione indotta dalla paura permane a lungo termine, o diviene cronica, non solo non è più adattiva, ma comporta numerosi effetti negativi, sia psicologici che somatici. La risposta emotiva è biologicamente funzionale unicamente di fronte ad un pericolo immediato, urgente e di breve durata.
Nondimeno la branca della psicologia che si occupa delle strategie di persuasione raccomanda come altamente funzionale per favorire l’adesione a comportamenti socialmente desiderati, il ricorso a tecniche che sfruttano l’induzione alla paura, con il conseguente suggerimento di adottare il comportamento desiderato per evitare le spaventose conseguenze. Si tratta di tecniche la cui funzionalità allo scopo stabilito è stata dimostrata, ma che dire dei possibili effetti collaterali sulla popolazione e, soprattutto, della loro valenza etica?
Quanto invece alla capacità di gestire e superare la paura, che comunemente chiamiamo “coraggio”, che cosa ne sappiamo? Il termine è facilmente comprensibile a tutti, sebbene come per molte parole di uso comune non sia così facile offrirne una definizione. Già nel Lachete, Platone fa chiedere a Socrate, “Prova dunque a dire cos’è il coraggio?”, iniziando così la ricerca di una definizione che il dialogo non arriva a formulare, sebbene senta come essenziale, poiché solo “dopo potremo indagare come darlo ai giovani, per quanto possibile, attraverso l’esercizio e lo studio”. Tuttavia una definizione sufficientemente condivisa (che sarà argomento del prossimo paragrafo) dovrà attendere ancora molti secoli. Malgrado ciò il coraggio è stato centrale in molte influenti visioni: viene considerato da Platone nella Repubblica come caratteristica essenziale della classe dei guardiani; da Aristotele nell’Etica Nicomachea come prima delle virtù etiche; e successivamente, col nome di Fortezza (Fortitudo), annoverato tra le virtù cardinali da Sant’Ambrogio, da Sant’Agostino e da Tommaso d’Aquino.
Il coraggio nella psicologia
Solo recentemente la psicologia si è occupata di coraggio, soprattutto grazie ad esponenti della cosiddetta “Psicologia Positiva”. Come ai tempi di Socrate, si è riproposta così la questione di trovare una definizione del costrutto. Tra le molte, tra le più adottate, e ad avviso di chi scrive tra le più convincenti definizioni di coraggio, troviamo: “(a) a willful, intentional act, (b) executed after mindful deliberation, (c) involving objective substantial risk to the actor, (d) primarily motivated to bring about a noble good or worthy end, (e) despite, perhaps, the presence of the emotion of fear.” (Rate et al., 2007, 95).
Riguardo ai punti (a) e (b), altri autori (Pury & Starkey, 2010) distinguono tra una dimensione di stato, che come nella definizione appena riportata giunge al coraggio attraverso un processo consapevole, e una dimensione di tratto di personalità, più costante e inconsapevole. Tuttavia, e sebbene indubbiamente esistano persone più inclini ad atti di coraggio, il costrutto così definito è risultato vago e poco utile alla ricerca, che ha perciò prevalentemente preferito guardare al coraggio come a un processo.
Relativamente al punto (e), Rachman (2010) afferma che “approaching a potentially dangerous situation in the absence of subjective and physiological indices of fear is regarded as fearlessness, not courage.” (ivi, 93). Tuttavia la mancanza di paura può essere congenita; può essere pura incoscienza; ma può anche essere conquistata tramite ripetuti atti di coraggio in situazioni analoghe. L‘autore, studiando professionalità esposte a forti rischi, conclude che “yes, it is possible for people to attain the noble quality of courage by study and training” (ivi, 105) e che “the successful practice of courageous behavior leads to a decrease in subjective fear and finally to a state of fearlessness.” (ivi, 106). Pertanto la precisazione di Rate che la paura può essere, o meno, presente, appare preferibile ad altre definizioni che ne sottolineano invece la necessaria presenza.
Più delicata è la parte (d) della precedente definizione. Infatti la percezione di “noble good or worthy end” è altamente soggettiva e talvolta opinabile. A titolo di esempio:
running into a burning building to save a child is courageous; running into a burning building to save a favorite computer is probably not. What about running into a burning building to save a pet? The appraised courageousness of this action probably depends on the observer’s opinion about pets. (Pury & Starkey, 2010, 83)
La percezione di un atto di coraggio o di codardia può tuttavia ulteriormente essere complicata. Supponiamo, ad esempio, di avere ricevuto la diagnosi di un grave tumore ad uno stato avanzato e il suggerimento di intraprendere un percorso chemioterapico che potrebbe ritardare il decesso. Immaginiamo uno scenario in cui dover scegliere tra la prospettiva di un anno di vita in cui dover convivere con frequenti ospedalizzazioni e forti nausee o quella di pochi mesi trascorsi nel luogo che più ci aggrada, liberi da effetti collaterali. Quale scelta sarebbe coraggiosa e quale no? La risposta è inevitabilmente soggettiva. Probabilmente un materialista riterrebbe codardia sottrarsi alle terapie e coraggio affrontarle. Altri tuttavia potrebbero ritenere codardia tentare di prolungare la mera esistenza fisica a discapito della qualità della vita da loro ritenuta prioritaria.
Rimanendo strettamente legati alla definizione di coraggio avrebbero entrambi ragione, dal loro punto di vista. Come nell’esempio dell’edificio in fiamme, siamo tutti facilmente concordi che rischiare la vita per salvare un bambino sia un atto coraggioso, come pure che rischiarla per salvare un computer sia folle; ma rischiarla per salvare un animale è coraggioso o folle? E non farlo è saggio o vile? Poiché la risposta è soggettiva, lo è inevitabilmente anche la percezione di chi agisce, i cui vissuti soggettivi di coraggio o di codardia sono riconoscibili come tali unicamente da chi ne condivide i valori. Se dall’esterno è quindi sempre possibile il fraintendimento del vissuto soggettivo, per l’individuo è tuttavia più semplice distinguere tra scelte effettuate seguendo i suggerimenti della paura o scelte compiute per impulso del coraggio. Lasciamo quindi all’individuo il compito di giudicare se stesso con sincerità e passiamo a valutare gli esiti del vivere consigliati dalla paura o dal coraggio.
Conseguenze della paura o del coraggio
Come già scritto nell’introduzione, la paura è un’emozione necessaria alla rapida risposta in una situazione di pericolo immediato, ma altamente dannosa se prolungata nel tempo. Sulle conseguenze, sia psicologiche che fisiche, dello stress provocato da stati di paura intensi e/o duraturi sono stati scritti migliaia di libri e di articoli. Tra i possibili esiti psicologici troviamo lo sviluppo di depressioni, ansie, fobie, attacchi di panico, disturbo da stress post traumatico; e per ognuno di questi aspetti esiste una nutrita letteratura a riguardo. Quanto ai possibili esiti somatici, occorre innanzitutto osservare che, sebbene l’ipotesi che uno stato emotivo possa influenzare dinamiche fisiologiche sia stata osteggiata per anni, e non sia ancora stata pienamente recepita dai medici meno aggiornati, la ricerca ne ha chiaramente dimostrato la validità oramai da decenni. Con la nascita della PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia), disciplina che indaga le interazioni tra psiche, sistema nervoso, endocrino e immunitario, sono arrivate le prime verifiche sperimentali, e ad oggi si possono considerare appurati almeno due principali percorsi biologici tra il vissuto psicologico e la risposta somatica (Ader, 2006): l’asse HPA (hypothalamic–pituitary-adrenal – ipotalamo-ipofisi-corticale del surrene), che stimola la produzione di cortisolo da parte della corticale del surrene; ed il percorso SAM (sympathetic-adrenal medullary – simpatico-adrenomidollare) che lega il locus coeruleus all’attività del sistema neurovegetativo simpatico e, tramite essa, alla produzione di catecolamine da parte della midollare del surrene (Kern, Rohleder, Eisenhofer, Lange, & Ziemssen, 2014). Stati particolarmente intensi o prolungati di paura comportano le sopracitate reazioni fisiologiche da stress e col tempo l’iperattivazione della produzione ormonale può portare a patologie anche gravi.
Lo studio degli effetti del coraggio sulla qualità della vita è invece ancora agli inizi e consta di pochi studi. Tra questi si annoverano principalmente quelli condotti nell’ambito dell’applicazione della Psicologia Positiva al mondo del lavoro, molti dei quali concordano nel concludere che “courage was found to mediate the relationship between psychological capital and flourishing [letteralmente “fiorire”: prosperare]” (Santisi et al., 2020, 9) e che “this is probably linked to the fact that courage was intrinsically constituted and aimed at a noble purpose, and this characteristic has a powerful effect on flourishing” (ibidem). Una ricerca sulla relazione tra coraggio, benessere psicologico e sintomi somatici nella popolazione generale (Keller, 2016) rileva che “higher courage scores were found to predict lower somatic symptom scores” (ivi, 62) e che “courage was shown to significantly predict PWB [Psychological Well-being]” (ivi, 64). Non ci risultano studi psicologici più approfonditi sul tema. Ciò nonostante, poiché il coraggio è, per definizione, un atto intenzionale che comporta per chi lo esegue un rischio oggettivo e sostanziale, implica necessariamente la capacità di gestione della paura, se presente, e pertanto sembra lecito affermare che il coraggio sia in grado di proteggere dai rischi sopra esposti connessi con uno stato di paura particolarmente intenso o prolungato. Infine, per quanto non ci risulta siano stati studiati gli effetti derivanti dal vivere – o anche solo dal leggere – sensazioni analoghe a quelle trasmesse dalla frase in epigrafe a questo testo, credo, e spero, che ognuno abbia provato almeno una volta in vita sua l’emozione correlata e sia in grado di ricordarne la forza pervasiva che ne deriva, anche senza doverne leggere in una ricerca scientifica.
Sinergetica, Movimento di Libera Psicologia
Nel particolare momento storico legato alla primavera/estate 2020, in Italia, un gruppo di colleghi psicologi e psichiatri ha sentito il bisogno di sottoscrivere un comunicato di allarme (https://comunicatopsi.org/) relativo gli aspetti psicologici della gestione dell’emergenza in atto. Successivamente alcuni di noi hanno ritenuto necessario dare vita ad un gruppo che coordinasse attivamente le iniziative scaturite da tale analisi, che si è dato il nome di Sinergetica, Movimento di Libera Psicologia. L’alternativa tra lasciarsi sopraffare dalla paura o coltivare il coraggio è tematica da noi sentita come centrale. Riteniamo che oggi più che mai il coraggio sia indispensabile per recuperare la serenità e la fiducia in sé e negli altri.
Per la sua etimologia “coraggio” rimanda al cuore. Solo chi ama ha coraggio. Per questo l’amore è l’antidoto alla paura. “Coraggio!” è anche una comune esortazione a proseguire nonostante le difficoltà, i piccoli timori o i grandi sconforti, a confrontarsi con i propri limiti e a crescere ogni giorno di più, a rincuorarsi. Per fiorire infatti occorre innanzitutto trovare il cuore di uscire dalla propria cosiddetta “comfort zone”, dove le comodità e le sicurezze rischiano di essere al contempo mura via via sempre più soffocanti. A volte a tal punto che per tenere fuori i pericoli ci troviamo a respirare più anidride carbonica che ossigeno, come avviene indossando le mascherine. Rinunciare ai più elementari rapporti umani sembra a molti indispensabile per proteggersi, forse perché come scriveva Michele Lauro (2016) “il marketing della paura ha un ufficio stampa molto efficiente: serve per aumentare il consenso, esercitare il controllo, assumere il potere”, e così troppo facilmente rischia di farci dimenticare che “il coraggio non è l’assenza di paura, ma piuttosto il giudizio che c’è qualcosa di più importante della paura” (frase attribuita a Ambrose Redmoon).
Poiché il coraggio è avere cuore, ma non solo: il coraggio è lanciare il cuore oltre l’ostacolo, quando non si sa cosa ci sarà dopo. Il coraggio sarà dire “No!” quando vorranno zittire la nostra umanità; quando vorranno far sparire la coscienza come un ornamento inutile. Il coraggio sarà pagare un prezzo, se ci sarà da pagarlo, per un mondo migliore che non vedremo. Il coraggio è quello di Antigone che decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice contro la volontà del re di Tebe che l’ha vietata con un decreto. Per la sua disobbedienza morirà murata viva in una grotta, ma per Antigone la legge divina è superiore alle leggi umane. Oggi la chiameremmo “disobbedienza civile”, dal titolo del celebre saggio di Herry David Thoreau che ha ispirato, tra gli altri, il Mahatma Gandhi, Martin Luther King, o Nelson Mandela. A ben vedere si potrebbe affermare che ogni conquista civile, dall’abolizione della schiavitù al suffragio universale, è in debito verso individui che hanno avuto il coraggio di sfidare leggi umane accettate dai più, ma da loro ritenute inique in virtù di principi considerati superiori, divini o naturali che siano.
Inoltre, accanto al coraggio dei grandi leader che hanno fatto la storia e combattuto per i diritti civili, ci sono forme di coraggio “più silenziose”, meno evidenti, ma altrettanto importanti. Il coraggio di non arrendersi e continuare a sperare. Il coraggio di non fermarsi alla superficie e di approfondire tutto, accettando in tal modo di cambiare anche se stessi. Il coraggio di affrontare la solitudine di coloro che percorrono territori ancora inesplorati. Il coraggio di chi addomestica la paura accogliendo il prossimo con amore. Il coraggio di chi sente la responsabilità verso i propri ideali, verso i propri figli e verso il mondo che un domani lasceremo loro. Non vogliamo risvegliarci un giorno e scoprire che ci è mancato il coraggio necessario quando era ancora possibile fare tutto ciò, poiché crediamo che – come scrisse il poeta Robert Frost in Servant to Servants – “the best way out is always through”. Oggi occorre infatti soprattutto il coraggio della consapevolezza che ripetere a se stessi il mantra “andrà tutto bene” è solo una forma di rassicurazione, mentre la posta in gioco è proprio la qualità della vita, più importante della stessa sopravvivenza. Questa consapevolezza è necessaria giacché – come nel nome della celebre acquaforte di Francisco Goya – “il sonno della ragione genera mostri”, e questo non è il momento di obbedire e “restare a casa”, bensì quello di svegliarsi, attivarsi e riunirsi.
Conclusioni
Gli studi sul coraggio come costrutto psicologico sono ancora agli inizi e ci auguriamo di avere contribuito a fare il punto della situazione. Tuttavia, il coraggio è virtù morale da molti secoli, centrale e trasversale alla religione, all’arte, alla letteratura e al sentire comune. Coltivarlo protegge dai pericoli legati al vivere prolungati stati di paura e migliora la qualità della vita. Purtroppo invece, come afferma in una recente intervista (Amorosi, 2020) Stefano Fais, dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, “stanno gestendo il Coronavirus con la paura. Ma la paura è una malattia che indebolisce e rende più fragili. Così masse di persone vengono rese facilmente prede proprio dei virus”. Il distanziamento sociale e il timore del prossimo percepito come possibile untore comportano pericolose conseguenze psichiche e psicosomatiche che nel migliore dei casi sono state completamente ignorate.
Oramai da vari decenni sappiamo che il benessere psicofisico dipende in gran parte dalla qualità delle relazioni interpersonali. Innumerevoli studi, svolti da autori di varie discipline, lo hanno ampiamente dimostrato e interi orientamenti psicoterapeutici, come la Psicanalisi Relazionale o la Psicoterapia Interpersonale, basano l’efficacia dei loro interventi su questa consapevolezza. Non riteniamo pertanto necessario approfondire questa conclamata evidenza, riguardo la quale rimandiamo all’amplissima letteratura esistente. Peraltro, che la qualità delle relazioni sia parte imprescindibile di quella che chiamiamo “qualità della vita”, è risaputo anche in ambiti non psicologici, e da ben prima che la psicologia lo abbia dimostrato. Azioni un tempo quotidiane, come sorridere a viso scoperto, stringersi la mano, abbracciarsi o accogliere l’altro a una distanza di prossimità, sono socialmente, evolutivamente e psichicamente così importanti da rendere necessario che gli effetti della loro soppressione siano dettagliatamente analizzati in un prossimo lavoro.
Qui desideriamo concludere evocando l’immagine del celebre dipinto La DanseII di Henri Matisse, e riportando il commento che l’opera ha suscitato in Derio Olivero (2019), vescovo di Pinerolo: “L’essenza della vita sta nel ‘tenerci per mano’, sta nel creare un cerchio. Tutto il resto scompare. Sotto questo cielo, sulla nostra terra, la cosa più essenziale è riuscire a prenderci per mano.” (ivi, p. 18). Non sappiamo se in questi mesi il vescovo abbia mutato opinione o se adesso riscriverebbe la stessa frase. Sappiamo però che per noi, oggi, è quanto mai urgente riscoprire questa dimensione e soppesare con il necessario coraggio che cosa stiamo perdendo in cambio dell’illusione della sicurezza. Per non correre il rischio di cui ci ha avvertiti Benjamin Franklin (1755): “Those who would give up essential Liberty, to purchase a little temporary Safety, deserve neither Liberty nor Safety”. Di questo coraggio abbiamo urgente bisogno, per la nostra salute individuale, per quella della società in cui viviamo e per quella della società che lasceremo ai nostri figli.
Pury, C. L., S. & Starkey, C. B. (2010). Is courage an accolade or a process? A fundamental question for courage research. In. Pury C., L., S. & Lopez, S., J. (Eds.), The psychology of courage: Modern research on an ancient virtue (pp. 67–87). Washington: American Psychological Association.
Rachman, S., j. (2010) Courage: A Psychological Perspective. In. Pury C., L., S. & Lopez, S., J. (Eds.), The psychology of courage: Modern research on an ancient virtue (pp. 91–107). Washington: American Psychological Association.
Rate, C., Clarke, J., Lindsay, D., & Sternberg, R. (2007). Implicit theories of courage. The Journal of Positive Psychology. 2. 80-98.
Santisi, G., Lodi, E., Magnano, P., Zarbo, R., & Zammitti, A. (2020). Relationship between Psychological Capital and Quality of Life: The Role of Courage. Sustainability, 12(13), 5238.
Capita anche a voi di osservare con un senso di incredulità e smarrimento che le persone intorno a noi si stanno polarizzando su due estremi? Uno di critica, protesta e ribellione rispetto all’evidente strumentalizzazione della crisi e l’altro di completa adesione alle rappresentazioni collettive dell’epidemia veicolate sui media “ufficiali”, non priva di una moralistica carica di intolleranza nei confronti dei cosiddetti “complottisti”, visti come disfattisti e irresponsabili nella comune guerra contro il terribile virus. Sembra che fra i due schieramenti non ci sia alcuna possibilità di dialogo, ma solo scontro e contrapposizione.
Per le persone più sveglie, l’aspetto più inquietante della strana pandemia è proprio la completa conformità della maggior parte della popolazione italiana alla narrativa del potere, sebbene con ogni evidenza contraddittoria, irrazionale, disonesta e assai poco “scientifica”. Se la supina acquiescenza della massa si può spiegare con il successo della manipolazione mediatica e con le tecniche suggestive usate per indurre intenzionalmente panico e allarme, come spiegato in un articolo precedente, su un piano più sottile sembra di assistere ad una sorta di spartiacque energetico fra chi comprende, a livelli più o meno profondi, che cosa sia in gioco veramente e chi invece, paralizzato dalla paura, non riesce ad alzare lo sguardo oltre la propria sopravvivenza biologica e invoca mascherine, distanziamento sociale, vaccino obbligatorio, controllo tecnologico, censura e TSO ai renitenti.
La schiera delle persone dubbiose aumenta di giorno in giorno, ma resta una minoranza. Quanto consistente, è difficile dirlo, per via del fenomeno della “spirale del silenzio” di cui parla la sociologa austriaca Elizabeth Noelle-Neumann: le posizioni su cui i media tacciono, anche se magari maggioritarie, vengono percepite come marginali e per questo non generano conformità sociale e adesione di massa. Se ogni individuo ignora l’esistenza degli altri che condividono lo stesso punto di vista, è come se tale punto di vista non avesse la forza del numero. Su questa ignoranza pluralistica conta il potere per poter imporre le strategie decise altrove senza incontrare la ribellione delle masse. Poiché ha paura della rivolta, deve puntare sulla manipolazione dell’informazione e sulla censura del dissenso, che è il segno più evidente della sua intrinseca debolezza.
Ma la consapevolezza non segue una logica lineare e non dipende dal numero. Come ha spiegato il biologo inglese Rupert Sheldrake, in natura una forma (animale, vegetale, minerale) si consolida attraverso la ripetizione. Come un sentiero diventa sempre più visibile e stabile dopo ogni passaggio, anche le idee e le intuizioni, una volta che si accendono, tendono ad aprire nuove vie che si consolidano in configurazioni di pensiero stabili, man mano che vengono ripetute, e si diffondono in modo non locale fra gli individui della stessa specie. Sheldrake li chiama “campi morfici”. La nostra mente è creativa. Se abbiamo l’impressione che il mondo attuale sia la realizzazione delle distopie di Huxley, Orwell e Bradbury, forse, più che alla testimonianza di una visione profetica degli scrittori, stiamo assistendo all’effetto concreto di una profezia che si autoadempie: letti e pensati da milioni di persone, i romanzi che descrivono un futuro da incubo potrebbero risultare lo strumento per far precipitare la possibilità in realtà. Succede perché ci credo, insomma. Le aspettative orientano il comportamento.
I padroni del mondo lo sanno benissimo. Questo potere creativo, benché indebolito e depotenziato dalla materialità dei corpi, fa paura. Se l’umanità nutrisse in massa pensieri di bellezza, amore, etica, giustizia e gioia non saremmo certo a questo punto. Il mondo ne sarebbe completamente trasformato. Per questo, per mantenere il potere in poche mani, la principale risorsa è suscitare sentimenti di paura, impotenza, dolore, angoscia: chi ignora il proprio potere e chiede protezione all’autorità non è una minaccia per nessuno. Un sistema di potere oligarchico, che pretende di gestire miliardi di persone da parte di pochissimi soggetti, richiede ingiustizia, violenza, dolore, sofferenza per restare stabile nel tempo ed usa come armi l’ignoranza, la competizione, la lusinga e la sottomissione. Può sussistere solo se controlla, in modo spietato e capillare. Da qui la tecnologia come risorsa di dominio e di manipolazione e il blocco di ogni fonte di conoscenza autentica che possa risollevare la condizione delle masse, incitate alla divisione e all’odio, addormentate con il consumismo, sfruttate e costrette alla lotta per la sopravvivenza con la scusa della libertà dei mercati, lusingate con una parvenza di democrazia, addomesticate con la paura.
Nello scenario in cui stiamo vivendo, nel quale un’epidemia anomala, ma non certo delle peggiori come causa di morte e sicuramente gestita in modo opaco e inadeguato, sta offrendo l’occasione per l’instaurazione di un regime soffocante di controllo dei cittadini e di sospensione delle libertà personali, benché dichiarate sacrosante e indisponibili, è palpabile la fretta inquieta di chiudere la porta della stalla prima che buoi siano scappati. Hanno paura di noi, ricordiamocelo. Sarà per questo che danno per scontata la seconda ondata della malattia e preannunciano che sarà peggiore della prima, contro ogni esperienza del passato?
Poiché ci rende manipolabili e ci indebolisce, il virus da temere veramente è la paura. Diceva giustamente Paolo Borsellino che chi ha paura muore ogni giorno, mentre chi non ne ha muore una volta sola. La paura è un’emozione primordiale, difficile da contenere, perché richiama le memorie di tutti i vissuti dei nostri antenati. Occorre la consapevolezza per dominarla e non è da tutti, purtroppo. Molti ne rimarranno prigionieri, nonostante ogni sforzo. La polarizzazione probabilmente si accentuerà, abilmente sfruttata a proprio vantaggio da chi muove i fili dell’informazione e della politica. Gli spiriti liberi verranno additati come egoisti, insani e pericolosi. Si tratta di un film già visto tante volte, anche in tempi recenti.
In ogni caso, non è il numero degli spiriti critici che conta. Conta la loro determinazione. Più la configurazione di pensiero è chiara e carica di energia mentale, più sarà efficace. E più questa ribellione delle coscienze verrà contrastata con misure ottusamente coercitive, più grande diventerà la determinazione. Purché non sia energia di odio, rabbia, vendetta (questo è ciò che dà forza agli artefici dell’incubo), ma energia di verità, giustizia e amore. L’amore è l’antidoto alla paura e il cuore, anche etimologicamente, è la fonte del coraggio. Loro – i guardiani del Nuovo Ordine Mondiale – non ne hanno, non sanno che cosa sia. Sono vittime di se stessi e della loro paura, anche se ancora non lo sanno. A noi quindi il compito di delineare il mondo che vogliamo, non di dare energia a quello che è già moribondo.
La coscienza spirituale è libera e ribelle, non china mai la testa di fronte all’ingiustizia e non si lascia asservire per paura. Difende la verità e agisce eticamente, perché comprende che cosa sia in gioco in ogni istante. Non si preoccupa delle critiche, degli attacchi, delle persecuzioni, perché non si identifica con l’ego effimero che incarna. Soprattutto, è creativa e sa che, pur trovandosi in un mondo basso e ostile, sarà l’idea di mondo che nutrirà con il proprio pensiero ad avere maggiori probabilità di realizzazione.
Articolo pubblicato su Sovranità popolare, n° 6, luglio 2020.
Anche se se ne parla poco, esiste un lato oscuro della psicologia e della sociologia. La conoscenza della mente e i processi sociali può essere utilizzata infatti non solo per migliorare le persone e i contesti in cui vivono, ma anche per manipolare le une e gli altri in vista di scopi egoistici non dichiarati, di tipo politico, commerciale, militare, economico, diplomatico.
Da circa un secolo, da quando cioè lo spregiudicato nipote di Freud, Edward Bernays, inaugurò gli studi sulle tecniche di propaganda e inventò lo spin doctoring – ovvero le strategie di comunicazione messe in atto dai sistemi politici per presentarsi all’opinione pubblica e per promuovere idee, persone, programmi e scelte – enti governativi, servizi segreti e militari, aziende, potentati economico-finanziari hanno investito enormi risorse nella ricerca sul comportamento umano al fine di poterlo controllare e manipolare.
La diffusione massiccia dei mass media ha enormemente facilitato il compito di costruire scenari artificiali attraverso un uso calcolato e deliberatamente non veritiero dell’informazione e attraverso le potenzialità suggestive offerte dalle immagini. Furono i regimi totalitari del ‘900 a utilizzare in modo sistematico le tecniche di manipolazione del consenso, mobilitando enormi masse di persone attraverso un poderoso apparato ideologico e simbolico attentamente studiato.
Propaganda politica e pubblicità commerciale condividono sostanzialmente le stesse tecniche di marketing, con la sola differenza che il politico deve nascondere i fini economici e affaristici che muovono le sue scelte e dare l’illusione di avere una visione d’insieme della società. Entrambe sfruttano alcune caratteristiche strutturali della mente umana, quali la razionalità limitata (ovvero la tendenza a seguire scorciatoie poco aderenti alla logica nei ragionamenti, chiamate “euristiche” e la tendenza a distorsioni sistematiche nei processi di percezione e analisi della realtà, i cosiddetti “biases”), la presenza di processi mentali inconsci, la scarsa consapevolezza emozionale, insieme alla tendenza ad elaborare gli stimoli più per via emozionale che razionale, la conformità alle norme del gruppo di appartenenza, l’inclinazione all’obbedienza all’autorità, la suggestionabilità, l’ignoranza dei processi mentali, del linguaggio dei media e delle tecniche comportamentali, che sono appannaggio di pochi individui.
Agli occhi di uno spin doctor, a cui spesso il politico si rivolge per consulenza, il pubblico da manovrare è una massa di soggetti inconsapevoli, irrazionali, poco o per nulla padroni dei propri processi emotivi e mentali, psicologicamente fragili e ignari dei propri bisogni profondi, facilmente suggestionabili, stolidamente fiduciosi nell’autorità, sulla quale proiettano un’immagine genitoriale rassicurante (il “buon padre di famiglia”). Un gregge, insomma, che attende di essere guidato. «La folla è un gregge che non può fare a meno di un padrone», scriveva a fine ‘800 Gustave Le Bon, nel suo saggio assai noto sulla psicologia delle folle. Nella folla, come hanno messo in luce studi più recenti di psicologia sociale, quali quelli di Philip Zimbardo, l’individuo tende a perdere il senso dell’individualità e della responsabilità personale e ad entrare in un pericoloso “stato di agente”, nel quale le sue azioni cessano di essere controllate dalla consapevolezza razionale, facendo di lui uno strumento passivo di una volontà estranea, proveniente dall’autorità o dal gruppo.
La conoscenza dei processi psicologici e sociali è indispensabile per quei ristretti gruppi di potere che progettano interventi di ingegneria sociale, ovvero di modificazioni lente o traumatiche degli assetti politici, economici e culturali di un Paese o dell’intero pianeta, come è avvenuto con quel gigantesco esperimento pluridecennale che è la globalizzazione in chiave neoliberista e come sembra stia avvenendo adesso, con la privatizzazione della sanità mondiale e con i risvolti autoritari e ipertecnologici della cosiddetta “pandemia”. Potremmo dire anzi che la presenza delle tecniche di manipolazione psicologica testimoniano di per sé l’esistenza di un progetto di ingegneria sociale che ne diriga gli esiti.
Negli ultimi dieci anni almeno, l’uso di tecniche suggestive e comportamentali da parte dei governi che si definiscono “democratici” è diventato la regola nella gestione del consenso, ben al di là delle classiche leve del controllo politico, che sono le leggi, i regolamenti, le tasse, l’istruzione. E durante la crisi da Coronavirus abbiamo assistito all’utilizzo massivo dell’intero repertorio degli strumenti di manipolazione di massa, dietro al cui dispiegamento si intuisce una regia piuttosto scaltra e sovranazionale.
Non si tratta solo di un sospetto. Poche settimane fa, è emerso un documento (non l’unico, ovviamente, ma significativo) elaborato nel mese di marzo 2020, per iniziativa del governo britannico, da un gruppo di funzionari e consulenti scientifici coordinati dal Scientific Advisory Group for Emergencies (SAGE). Il gruppo, convocato per la prima volta nel 2009/10 in occasione della pandemia di influenza suina, è stato riconvocato nel febbraio 2020 con il nome di Scientific Pandemic Influenza group on Behaviour, or SPI-B. Il suo compito non è di fornire competenze mediche in merito alla pandemia di Covid-19, ma di dare indicazioni sul modo in cui aiutare i cittadini ad aderire alle misure imposte dal governo. Il documento prodotto dal gruppo si intitola Options for increasing adherence to social distancing measures. Con una modalità piuttosto aggressiva e dirigistica, individua nove strategie per conseguire l’obiettivo dell’obbedienza: Istruzione, Persuasione, Incentivazione, Coercizione, Abilitazione, Formazione, Restrizione, Ristrutturazione ambientale, Modellamento.
Scopriamo così che “il livello percepito di minaccia personale deve essere accresciuto fra coloro che sono acquiescenti, usando messaggi di forte impatto emozionale” e che “per essere efficace, questo deve anche rinforzare le persone rendendo chiare le azioni che esse possono compiere per ridurre la minaccia”: insomma, la paura indotta da messaggi terrorizzanti deve accompagnarsi a chiare direttive di comportamento al fine di spingere le persone ad accettare la quarantena di massa e le altre misure imposte dall’alto, come il distanziamento sociale. Nella mente degli esperti non ci sono dunque cittadini che decidono, ma soggetti passivi che si adeguano agli ordini, manipolati attraverso la paura. Una persona spaventata è più facilmente condizionabile e poco reattiva, perché le sue difese sono abbassate. Lo sanno i tiranni di ogni epoca. Ma per ottenere l’effetto, si deve usare una comunicazione ingannevole e intenzionalmente strumentale. Il fine è infatti l’acquiescenza all’autorità, non l’interesse dei cittadini, liberamente determinato.
Inoltre,
la disapprovazione sociale della propria comunità può giocare un ruolo importante nel prevenire il comportamento antisociale o nello scoraggiare la mancata esibizione di un comportamento prosociale. Tuttavia, questo fattore va gestito con attenzione, onde evitare la vittimizzazione, la creazione di un capro espiatorio e di una tendenza critica diretta all’oggetto sbagliato. Deve essere accompagnato da messaggi chiari e dalla promozione di una chiara identità collettiva. Si deve prendere in considerazione l’uso della disapprovazione sociale, ma con una forte attenzione alle conseguenze negative indesiderate.
Gli esperti del SPI-B stanno consigliando insomma di forzare l’adeguamento alle norme sfruttando il conformismo del gruppo che spinge la maggioranza conforme a punire i trasgressori e a farne il bersaglio della loro aggressività. Il controllo sociale viene così affidato direttamente ai cittadini, aizzando gli uni contro gli altri. Suonano alquanto pelose le preoccupazioni indicate sull’effetto inevitabile di criminalizzazione del dissenso.
Per questi e per gli altri obiettivi, lo strumento principale indicato dagli estensori sono i mass media. Lungi dall’essere visti come i cani da guardia della democrazia, al servizio del popolo sovrano, in questo documento e in altri simili, elaborati da diversi governi e da organismi sovranazionali negli ultimi anni, i mass media tendono ad assumere la funzione sempre più evidente di meri strumenti di propaganda e di influenzamento al servizio del potere. Rafforza questo quadro inquietante l’istituzione di Task Force contro le cosiddette fake news, come viene definita l’informazione non ufficiale che mette in dubbio la narrazione menzognera delle autorità, e il massiccio ricorso al debunking, ovvero la minimizzazione e discreditamento dell’informazione critica e di coloro che la veicolano, connotata come malata e paranoide e spesso associata con disinvolta mistificazione a credenze chiaramente infondate e assurde (come il terrapiattismo).
Gli strumenti messi in campo comprendono l’uso suggestivo della PNL e dell’ipnosi conversazionale; la riscrittura di eventi, biografie, notizie; la menzogna ripetuta, fatta di notizie e immagini false, di correlazioni illusorie fra eventi, di distorsione dell’importanza di un evento, di silenzio su circostanze che farebbero interpretare diversamente un evento, di interpretazioni false di un evento, di framing, ovvero di riformulazione dell’informazione in modo da influenzare la percezione dei fatti e da fabbricare credenze; l’uso sistematico delle fallacie argomentative; l’uso ingannevole del linguaggio; l’imposizione di norme assurde e contraddittorie, con l’effetto si provocare impotenza appresa e indurre rassegnazione; l’uso manipolativo delle emozioni come leva di persuasione per aggirare l’analisi razionale; il ricatto più o meno latente e l’intimidazione; il ricorso all’autorità scientifica o all’apparenza di scientificità per validare scelte politiche discutibili; l’utilizzo cinico del diffuso clima di terrore e sgomento prodotto dai media come leva per introdurre modifiche permanenti e inaccettabili nella vita dei cittadini e nella struttura sociale, nella più pura tradizione della dottrina dello shock (mai sprecare una crisi, dice pure Mario Monti). Il risultato è una massiccia modificazione percettiva degli eventi e un completo avvelenamento del pozzo del dibattito pubblico, aggravato dalle gravissime e previste conseguenze psicologiche dell’isolamento, della catastrofe economica, del clima di delazione, di arbitrio e di illegalità e dalla sospensione di tutti i diritti fondamentali, come nei sistemi totalitari.
Per questo la crisi non deve finire e la normalità deve essere sospesa indefinitamente. Non c’è razionalmente alcuna ragione per continuare questa tragica rappresentazione, che nei suoi eccessi assume contorni grotteschi e assurdi. Non si getta sul lastrico una nazione per una malattia, per quanto grave, fra le tante assai più gravi che affliggono la popolazione. Non si producono milioni di depressi, ipocondriaci, ossessivi-compulsivi, ansiosi e isolati o di morti per tumore, infarto e altre patologie, indotte dalla mancanza di cure, per preservare alcune categorie a rischio da un virus a bassa letalità. Non è la salute in gioco qui, ma la libertà.
Alle origini del comportamentismo, lo psicologo Burrhus Skinner delineò, nel romanzo Walden two (1948), un’utopica società felice governata da uno psicologo comportamentista, che da despota illuminato modella il comportamento dei cittadini con le tecniche di condizionamento, per ottenere armonia sociale e prosperità. Questo inquietante sogno tecnocratico di controllo paternalistico del comportamento, che manipola dolcemente e insensibilmente soggetti infantilizzati e privi di autonomia decisionale per fini stabiliti dall’alto, è più che mai vivo oggi ed ha un nome: nudging, ovvero induzione di comportamenti ritenuti buoni dall’autorità con modalità non coercitive, utilizzando le tecniche comportamentali. Che cosa abbia a che fare con la democrazia, l’autodeterminazione e la trasparenza risulta davvero difficile stabilirlo.
Articolo pubblicato su Sovranità popolare, n° 5, giugno 2020.
Esistono una via maschile e una femminile al potere? O il potere è neutro rispetto al genere?
Non è facile distinguere, in una società nella quale potere è spesso sinonimo di dominio, prevaricazione, esercizio della forza, quando non di abuso e violenza. Uomini e donne, quasi in egual misura, siamo tutti influenzati da questa modalità di rapporto con i nostri simili. Secoli di guerre, di trame politiche machiavelliche, di oppressione e di ingiustizia non hanno certo favorito la crescita di una visione più nobile del potere.
Anche se associamo facilmente il potere a chi occupa posizioni preminenti nella società, non dobbiamo dimenticare che, a diversi livelli e in diverse modalità, tutti esercitiamo un potere. Un genitore che sgrida il figlio, un automobilista che si prende la precedenza che non gli spetta, un commerciante che fissa un prezzo eccessivo per un bene poco disponibile, perfino una bimbetta che fa i capricci per un giocattolo esercitano un potere. Quando invece subiamo un torto o un’ingiustizia, spesso rinunciamo ad esercitare il nostro potere. Ci dimentichiamo di averlo ed entriamo nel ruolo della vittima.
Vittima e carnefice sono gli attori di un dramma archetipico, perché scritto nei nostri geni. Sono due facce della stessa medaglia, prodotta dall’esperienza della specie. Rappresentano le due modalità complementari con le quali si manifestano rispettivamente il femminile e il maschile interiore degli umani al livello della mente animale. Il carnefice esercita un potere arbitrario per trarre un vantaggio egoistico dalla vittima; la vittima a volte è realmente impotente e costretta a subire, a volte crede soltanto di essere impotente e si autocommisera, rinunciando a difendersi. Le credenze sono spesso profezie che si autoadempiono. Poiché ha il potere, ma non sa di averlo, capita che la vittima lo eserciti sotto forma di manipolazione, di colpevolizzazione, di risentimento, di vendetta o di rimprovero. Alzi la mano chi di noi non ha esercitato sia il potere maschile del carnefice sia quello femminile della vittima. Entrambi i ruoli di questo gioco ci sono molto familiari, in tutte le loro perverse declinazioni, e si richiamano a vicenda. Chi è stato vittima tende a diventare carnefice e chi ha avuto facile vittoria contro una vittima inerme può ritrovarsi vittima dei suoi stessi impulsi fuori controllo o della vendetta altrui.
Il grande sociologo Max Weber, che vedeva molto bene la natura violenta del potere politico, attribuiva allo Stato il monopolio della violenza legittima: pur sempre violenza, ma regolata da norme scritte e perciò meno arbitraria. Nello Stato moderno è infatti evidente la sproporzione di forza fra Stato e cittadini, che genera tensione e conflitto, perché di solito esso è governato da élites che mantengono il potere con ogni mezzo e si riformano ciclicamente come le teste mozzate dell’Idra di Lerna. Il campo della politica, nelle società statali, è il campo dell’astuzia e della forza, della golpe e del lione di cui parlava Machiavelli ne Il Principe. Ma anche quando regolato dalla legge e quindi legittimato, il potere a questo livello resta per lo più un potere basso, proprio della mente animale, e ripropone l’eterno schema carnefice/vittima.
Il neoliberismo ha sviluppato questo gioco fino al parossismo. Ci ha abituati alla legge della giungla, rendendoci familiari e pressoché “naturali” la competizione e la supremazia del più forte. Mors tua, vita mea. L’egoismo, l’assenza di empatia, l’ingiustizia e la disuguaglianza sono state elette a virtù sorelle della “libertà”, intesa come assenza di vincoli, regole e limiti alla smisurata ingordigia di ricchezza e soprattutto di potere da parte di pochi. La ricchezza ha valore in quanto dà potere. Ai soggetti antisociali dà un senso di ebbrezza la sensazione di avere in pugno la vita degli altri.
Ma una delle fonti culturali di questa attitudine rapace verso la natura e verso i propri simili va cercata nella mentalità razionalizzante e strumentale della scienza moderna, nata dall’idea del dominio sulla natura (“sapere è potere”, diceva Francesco Bacone, paragonando la Natura ad una donna da possedere con la forza) e sfociata nell’attuale predominio della tecnologia su ogni altra capacità umana. Si tratta di una micidiale fusione di due tendenze convergenti verso la disintegrazione e la disgregazione dell’unità fondamentale dell’essere umano e delle società umane, che porta la guerra non solo fra gli individui, ma anche negli individui, fra la loro parte animale e la loro sempre meno percettibile parte spirituale. Questo tipo di visione strumentale dell’uomo non potrà portare ad altro che al controllo totale e dispotico di pochi sugli altri, realizzato mediante la tecnologia e con l’ausilio delle vittime (noi tutti), inconsapevoli della propria forza di resistenza e di difesa, perché lontane dal contatto con la propria essenza spirituale, potente e creativa, l’unica in grado di frapporsi fra la nostra vita semilibera e l’imminente avvento dell’ibrido uomo/macchina, privo di consapevolezza e schiavo impotente di chi lo controlla. Il vero potere oscuro, quello assoluto e supremo, non è il denaro, ma il potere di annientare nell’altro la sua scintilla divina.
Anche al livello della mente animale, c’è comunque un potere costruttivo, finalizzato alla sopravvivenza, che nel suo lato maschile è capacità di difesa, orientamento al compito e spirito di iniziativa, mentre nel suo lato femminile è capacità di tenere insieme il gruppo, di prendersi cura della prole e placare le tensioni. Anche se le distinzioni sono sempre un po’ forzate, ci aiutano a comprendere che, a questo livello, non siamo particolarmente diversi da altri mammiferi sociali, se non per grado di complessità dei comportamenti.
Noi non siamo però solo degli animali, seppure di specie umana. Siamo molto di più e tutto congiura per farcelo dimenticare. Considerato dal punto di vista della coscienza spirituale, il potere è un’influenza che si esercita su se stessi e sugli altri al fine di accrescere la consapevolezza e le possibilità di agire. Questo potere si nutre di responsabilità e di rispetto, nel senso che è vigile, attento, accogliente, disposto a rimediare agli errori e a riparare ciò che si è guastato. Responsabilità è consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni. Rispetto è profondo riconoscimento della scintilla divina nell’altro. Questo tipo di potere non conosce manipolazione, prevaricazione, ingiustizia, egoismo, invidia e azioni scorrette. Nel suo lato maschile, è forza e armonia interiore, capacità di prendersi cura proteggendo, giustizia, chiarezza delle intenzioni e del volere, determinazione; nel suo lato femminile è Amore spirituale (scritto con la maiuscola per distinguerlo dall’amore umano, fatto di sentimenti e di attaccamenti), che prova gioia nel veder crescere gli altri; è creatività, equità (ovvero giustizia adattata alle circostanze), capacità di generare armonia sociale, di accogliere.
Se il potere a livello animale è controllo degli altri e dell’ambiente e strumento di sopravvivenza, a livello spirituale è servizio e strumento di crescita – individuale e sociale – e di elevazione della coscienza. Il fatto che ci sembri normale il potere del primo tipo non deve farci svalutare l’enorme potenziale del secondo. Il potere come servizio ha un impatto molto più grande ad ogni livello, perché è trasformativo, costruttivo, capace di creare connessioni e di concentrare e moltiplicare le forze. Richiede grande forza interiore e produce straordinari cambiamenti. Soprattutto, ci fa stare bene, perché questo sarebbe il livello di dignità al quale dovremmo stabilmente collocarci per essere felici.
Allora perché sottolineare il lato femminile del potere come servizio, se entrambe le energie che lo costituiscono sono necessarie per esprimerlo? Direi per una ragione squisitamente storica: perché in Occidente (e non solo) le vicende della storia hanno sviluppato negli umani il lato violento e maschile della mente animale e hanno costantemente avvilito l’aspetto creativo, generativo e armonioso della coscienza spirituale. Ce ne rendiamo conto guardando ai risultati: la distruzione dell’ambiente, la scienza senz’anima e asservita al denaro, l’economia che ignora bisogni e diritti della gente, enormi risorse finalizzate alla guerra e alla distruzione, gli infiniti regimi dispotici e violenti che hanno governato e governano questo sfortunato pianeta, la costante manipolazione della pubblica opinione mediante i media, la vita sociale improntata all’egoismo e alla competizione, anziché alla solidarietà e alla cooperazione, la millenaria svalutazione della donna e del femminile in generale.
Abbiamo bisogno di sviluppare la nostra parte migliore, di sperimentare un lato maschile costruttivo, anziché distruttivo e un lato femminile empatico e amorevole. Dobbiamo guarire le enormi ferite inferte al nostro Femminile interiore per risvegliare la forza potente del maschile autorevole e consapevole.
Non è un programma astratto né utopico, ma concretissimo, benché qui esposto in modo sintetico e solo teorico. Possiamo cominciare oggi stesso, lavorando sodo su noi stessi e insieme ad altri che ci sostengano. Nel gruppo Rebis ci stiamo dedicando con entusiasmo e con tutte le nostre risorse di conoscenza e di esperienza a questo fine. I primi risultati cominciano a vedersi. Aspettiamo anche voi. Ci trovate su www.grupporebis.org
Articolo pubblicato su Sovranità popolare, n° 9, dicembre 2019.
Continuo con l’ultima parte l’articolo di sintesi sulle posizioni in campo riguardo all’obbligo vaccinale, dopo la parte terza e quarta, esaminando gli ultimi tre punti del dibattito.
7. I vaccini sono efficaci? E lo sono tutti allo stesso modo o alcuni più di altri?
COE e TOL. Certamente sì. Sono la più grande invenzione della medicina da sempre. Hanno consentito e consentono di salvare ogni giorno milioni di vite. È solo grazie ad essi che molte patologie sono praticamente scomparse, che non si vedono più bambini nel polmone artificiale, che la salute della popolazione è migliorata. Sono così efficaci da essere vittime del loro stesso successo. La diminuzione delle epidemie ha fatto perdere di vista che, in assenza dei vaccini, tornerebbero ad aggirarsi per l’Europa malattie ormai scomparse, come la difterite e la poliomielite e il morbillo farebbe danni gravissimi.
LIB. È possibile che le vaccinazioni abbiano contribuito a ridurre quasi a zero molte patologie, ma è un dato di fatto storico che l’incidenza delle malattie – di tutte, sia quelle coperte da vaccinazione sia quelle non coperte, come la TBC, la malaria, la febbre tifoide, il morbillo, la pertosse – era in costante diminuzione già decenni prima che venissero introdotte le vaccinazioni da massa e la mortalità per tali patologie era praticamente a zero quando furono introdotti i vaccini. Basta guardare i grafici di ISTAT e UNICEF. Si guardi la mortalità per morbillo e si ricordi che il vaccino fu introdotto in Italia nel 1976 e raccomandato dal 1979. Poi si guardi il grafico sui casi di morbillo costruito con i dati ISTAT. Certamente il vaccino del morbillo non ha salvato milioni di vite, almeno in Europa, come sostiene con enfasi, ma senza prove, la propaganda sanitaria.
Viene davvero difficile indicare queste ultime come l’unico fattore causale in gioco né viene mai fornita la prova di questa affermazione. La semplice coincidenza temporale non è certo una prova. Il ruolo delle vaccinazioni è stato sovrastimato, a scapito di altri fattori più significativi.
In alcuni casi particolari, come quello della polio, poi, il cambiamento – mai segnalato nei grafici ad uso del popolo – dei criteri diagnostici ufficiali in senso restrittivo prima nel 1955 e poi nel 1959 – ha di fatto conteggiato come polio solo una piccola parte delle patologie che precedentemente erano chiamate così. Per forza i casi sono diminuiti in fretta proprio nel 1959! Si tratta di una diminuzione semantica e non reale, come diceva il dottor Ratner, l’epidemiologo che nel 1960 conduceva un panel di esperti sulla vaccinazione Salk.
D’altra parte, un vaccino può aver successo nell’eradicare un virus, ma peggiorare il problema iniziale, come è successo in India, dove la campagna promossa da OMS e GAVI Alliance per l’eradicazione della poliomielite ha fatto scomparire il poliovirus, ma ha fatto aumentare a dismisura i casi di paralisi flaccida non polio, identica alla paralisi da poliovirus, ma due volte più letale, collegabile al numero di vaccinazioni (47.500 nuovi casi solo nel 2011 e 60.922 nel 2012, mentre nel 1994, prima del programma di eradicazione del virus, erano solo 4800 circa), caricando oltretutto costi enormi sull’India. Per capire quanto siano state efficaci le campagne vaccinali contro la poliomielite, occorre andare a fondo, senza accontentarsi degli slogan superficiali. Il governo indiano ha deciso alla fine di tagliare i ponti con la Fondazione Bill e Melinda Gates (fra i principali promotori delle vaccinazioni di massa) per la constatata inefficacia delle vaccinazioni proposte (pentavalente) e per il loro carattere sperimentale, che ha prodotto centinaia di morti. Appare un capitolo a sé, infatti, l’uso dei vaccini nei Paesi in via di sviluppo, dove talvolta vengono sperimentati nuovi prodotti in modo irregolare, provocando danni e morti (come i 14 bambini morti in Argentina per un vaccino GSK). Le multinazionali del farmaco hanno già collezionato lunghe serie di condanne per pratiche scorrette o illegali.
Comunque, l’efficacia dei vaccini è assai variabile. Una panoramica dei problemi connessi ai vaccini pediatrici, a cura del prof. Aldo Ferrara Massari, docente alla Facoltà di medicina di Siena, si può leggere qui. Il vaccino contro il morbillo è fra i più efficaci, ma non impedisce di sviluppare la malattia e di trasmetterla e non garantisce immunità permanente. “Secondo la FDA nel 1988, l’80% dei casi di morbillo erano di persone precedentemente vaccinate al morbillo”. Stando ai dati ufficiali sulla tanto sbandierata (e inesistente) epidemia di morbillo in Italia nel 2017, il 12% dei casi si è verificato fra vaccinati (colpendo soprattutto gli adulti, con il 74% dei casi sopra i 15 anni, e i neonati, come atteso in assenza di immunità naturale). Un recente studio, nel quale gli esami di laboratorio sono stati effettuati al CDC, dimostra la trasmissione del virus vaccinale da un soggetto vaccinato due volte ad altri soggetti vaccinati a New York. In generale, “i dati ufficiali europei fanno pensare che le coperture vaccinali abbiano poca influenza sui casi di malattia… e ciò vale anche quando esse superano il fatidico valore del 95%” (G. Tarro, 10 cose da sapere sui vaccini, Newton Compton, 2018, p. 166).
I virus a RNA ricombinante, come quelli del morbillo, della parotite, della rosolia, del raffreddore, della rabbia e dell’epatite A hanno la caratteristica di mutare molto velocemente. Le vaccinazioni possono avere un effetto selettivo dei ceppi virali, spingendo verso lo sviluppo di ceppi più virulenti. In India, secondo quanto riferiscono alcuni scienziati, si è sviluppato un virus morbilloso mutato che non dà la malattia classica, ma attacca direttamente cervello, polmoni e reni con elevata mortalità. Secondo il prof. Tarro, sulla base di alcuni studi che indicano come, “dopo l’inizio delle vaccinazioni di massa con il vaccino MPR aumentano i casi di encefalite o encefalopatia (in media 1 caso ogni 5000 dosi di vaccino entro 3-6 mesi dalla vaccinazione) e di meningite asettica (in media un caso ogni 14.000 dosi di vaccino entro 3-5 settimane dalla vaccinazione)”, se negli anni 1960-80 venivano registrati nel nostro Paese circa 100.000 casi di morbillo naturale all’anno, negli anni 2000 ne avvenivano solo 500-600 l’anno. Però, se oggi, grazie alla bassa numerosità annuale, il morbillo naturale può causare un’encefalite ogni 3-4 anni e può uccidere un bambino ogni 65-80 anni, la somministrazione di due vaccinazioni antimorbillose a tutti i neonati italiani causa probabilmente cento encefaliti l’anno e causa la morte di circa cinque bambini l’anno (op. cit., p. 199).
Il vaccino contro la parotite è assai meno efficace e negli USA sono ormai numerosi i college (per esempio Harvard) dove la malattia (complicanze comprese) si è diffusa in popolazioni completamente vaccinate. Non per niente due ricercatori della Merck denunciarono nel 2010 la frode nei dati sull’efficacia del vaccino MPR dichiarati dall’azienda. Se si volesse verificare quanti vaccinati contro la polio negli anni ‘50-’60-’70 siano ancora protetti dal vaccino, secondo parecchi ricercatori ci sarebbero parecchie sorprese (altro che effetto gregge!); inoltre, i vaccini antipolio non impediscono affatto il contagio; alcuni soggetti risultano contagiosi decenni dopo la vaccinazione. Questo ovviamente stimola la furia vaccinista di chi vorrebbe tutti i cittadini continuamente sottoposti a richiami per ogni malattia possibile fino alla tomba, ma d’altra parte dimostra che, anche senza una copertura vaccinale elevata, le epidemie non si vedono in Europa, segno che non sono solo i vaccini ad impedirle. Il vaccino acellulare contro la pertosse non è molto efficace nell’impedire il contagio né la malattia, anzi “l’analisi di quasi 10.000 casi confermati in laboratorio in soggetti ≥3 mesi (Bolotin et al., 2015) ha mostrato che per il 77,6% erano completamente vaccinati (la copertura con ≥4 dosi di DTaP negli USA è circa dell’85% tra i 19 e i 35 mesi)” e “i vaccinati possono essere asintomatici e al tempo stesso portatori. Ciò potrebbe addirittura facilitare i contagi (Kilgore et al., 2016): un effetto “gregge” al contrario!” (P. Bellavite). L’obbligo del vaccino antivaricella lascia perplessi, per le ragioni che hanno spinto a produrre il vaccino (contenere i costi ospedalieri) e per gli effetti indesiderabili che si porta dietro (rischio di morte 20 volte maggiore per gli adulti senza immunità naturale e un rischio di ospedalizzazione 10-15 volte maggiore rispetto ai bambini, nonché un aumento della morbosità per Herpes zoster o Fuoco di Sant’Antonio). Un discorso a parte merita il vaccino antinfluenzale, la cui utilità è assai dubbia, mentre la presenza di quantità rilevanti di mercurio lo rende almeno sospetto e renderebbe comunque contagiosi i vaccinati 6 volte più dei non vaccinati (ultimamente, alcuni lotti sono stati ritirati per morti sospette).
Senza entrare nel merito di ciascun vaccino, che in fondo non è compito nostro, diciamo che complessivamente la protezione non è garantita per tutti e non è permanente, rendendo vano il fantomatico obiettivo del 95% di soglia (arbitrario, come si è detto, e variabile per ogni vaccino), con qualunque livello di copertura vaccinale. Sarà per questo che molte ASL, disattendendo la legge, impediscono di fare gratuitamente gli esami sierologici per rilevare la presenza di immunizzazione naturale o vaccinale? Quanti casi di mancata immunizzazione si scoprirebbero? Tant’è vero, come si è detto, che l’eradicazione del morbillo, dichiarata vicinissima fin dagli anni ‘60, rappresenta come una sorta di Santo Graal sempre inseguito, ma irraggiungibile, nonostante soglie di copertura del 99-100%. Forse bisogna ammettere che non si riuscirà mai a sconfiggerlo. Lo dice il decano degli epidemiologi americani, fondatore del CDC, Alexander Langmuir, che definisce il morbillo una “infezione autolimitante di breve durata, di moderata gravità e bassa mortalità” : “A chi mi chiede: “Perché vuoi eradicare il morbillo?” rispondo con la stessa risposta che Edmund Hillary utilizzò quando gli chiesero perché voleva scalare il monte Everest: “Perché è lì”. Insomma, una questione di principio, non una necessità medica. E forse un pretesto per vaccinare all’infinito popolazioni sempre più estese. Un comunicato stampa dell’associazione medica ASSIS riassume questa posizione:
La migliore letteratura scientifica dimostra, però, che per molti vaccini non esistono prove di alcun ‘effetto gregge’, in particolare in riferimento a: tetano (non è nemmeno contagioso), difterite, pertosse, epatite B; vi sono dubbi su Haemophilus influenzae tipo B, parotite, varicella e polio iniettivo. Inoltre, la evocata soglia di copertura del 95% non ha basi scientifiche per tutti i vaccini e comunque la copertura non è raggiungibile vaccinando solo i minori fino a 16 anni. Per quanto riguarda il morbillo, in particolare, ad oggi nessuna nazione lo ha eradicato con il solo vaccino, pur avendo raggiunto coperture ben superiori al 95%.
D’altra parte, quando un professorone come il prof. Burioni cerca di dimostrare che i bambini vaccinati si ammalano meno di quelli vaccinati, incorre in infortuni scientifici come questi (non per niente il prof. Yehuda Schoenfeld, uno dei massimi esperti mondiali sulle malattie autoimmuni, che sostiene la relazione fra vaccini e autoimmunità in soggetti predisposti, ha 78.584 citazioni in riviste scientifiche, un i10-index di 1.146 e un indice H di 121 (fonte), mentre il Professor Roberto Burioni ha 2.567 citazioni, un i10-index di 61 e un indice H di 27 (fonte). Tanto per capire chi, secondo i criteri seguiti nel mondo scientifico, è considerato più autorevole – anche se, ovviamente, costituisce fallacia ad personam fondare l’attendibilità di un argomento sull’autorità della fonte, come fanno i difensori della Scienza non democratica).
Un problema a parte è quello dei cosiddetti “bugiardini” dei vaccini, molti dei quali la scorsa estate sono stati modificati nelle indicazioni terapeutiche: per esempio, l’esavalente Hexyon, clinicamente testato fino a 24 mesi, come dichiarato dalla scheda tecnica dell’azienda, è stato esteso dall’AIFA senza ulteriori studi a soggetti di età superiore. Lo stesso è accaduto per altri preparati, usati nella vaccinazione obbligatoria, come l’Infanrix Hexa (36 mesi). In questo modo, i preparati vaccinali possono essere usati per fasce di soggetti molto più estese, ma senza alcuna contezza del rischio. Le spiegazioni date da AIFA appaiono insufficienti. Come si è già detto, si tratta di una violazione deontologica usare un farmaco per soggetti diversi da quello per i quali è stato approvato.
Oggi le vaccinazioni di massa stanno facendo sorgere molti dubbi sul futuro della salute pubblica. Pensare di eradicare tutte le malattie infettive con la vaccinazione, dal punto di vista scientifico ed epidemiologico è un mito alquanto utopistico, perché virus e batteri si adattano ai cambiamenti della società, spesso in modo inatteso. Così è avvenuto drammaticamente per gli antibiotici, il cui largo uso ha fatto emergere dei ceppi talmente resistenti da mettere in pericolo l’intero sistema sanitario. Per le vaccinazioni può avvenire qualcosa di simile, perché in pratica, non si sa ancora quali saranno le conseguenze a lungo termine sulla popolazione dei loro effetti quando vengono effettuate in modo massivo. Alcuni si pongono questa domanda: come mai negli ultimi decenni sono in continuo e preoccupante aumento molte malattie pediatriche, ma anche non pediatriche, in cui i meccanismi immunologici sono la causa principale, o comunque sono tra le cause principali? Come possiamo essere certi che la pratica generalizzata delle vaccinazioni, soprattutto in virtù del loro continuo aumento e della somministrazione di molti antigeni simultaneamente, non possa essere uno dei fattori coinvolti in queste patologie? Si dice che stanno tornando alcune malattie che si ritenevano eliminate: almeno in due casi (pertosse e simil-polio) si tratta, in alcune aree, di nuovi microorganismi verso cui i vaccini non coprono. Forse non consideriamo minimamente la possibilità che i vaccini, come gli antibiotici, possano contribuire a selezionare nuovi microorganismi. Una delle sfide principali dell’infettivologia sono i batteri multiresistenti: possiamo pensare che nel tempo si correrà lo stesso rischio con i vaccini? Alcuni casi, come già detto, sembrerebbero farlo pensare. Non basterebbe usare più cautela? (G. Tarro, 10 cose da sapere sui vaccini, Newton Compton, 2018, pp. 206-207).
RAD. Altro che efficaci! I vaccini sono dannosi e hanno causato più morti e danni di quanti ne abbiano evitati. Per fare un esempio fra i tanti, nel 2010 nel Regno Unito uscì un articolo che mostrava i dati ufficiali – largamente sottostimati – con un numero di morti e di danni gravi superiore a quelli della malattia. Dopo l’approvazione del decreto Lorenzin, in Italia a dicembre erano già 17 i bambini da 0 a 6 anni morti all’improvviso. Ora sono già una quarantina. Quanti di loro sono morti in conseguenza della vaccinazione? Qui si può leggere un elenco lunghissimo di bambini morti nel mondo in seguito a vaccinazione. Utilizzando i dati del VAERS (Vaccine Adverse Events Reporting System) statunitense, è stato calcolato che negli ultimi 20 anni negli USA sono morti per vaccini multipli 145.000 o più bambini. Come si fa a dire che le vaccinazioni di massa salvano vite umane? Si tratta di una colossale menzogna.
COE. Perché sono degli irresponsabili che tradiscono la scienza. Sui vaccini c’è una verità incontrovertibile, certificata da un enorme corpus di ricerche peer reviewed e chi non si riferisce a tale verità non è un medico, ma un praticone e un ciarlatano, nonché una minaccia per la salute pubblica. Anzi, bisogna proprio fare in modo che chi critica i vaccini nel mondo medico venga isolato, degradato e radiato dall’Albo, perché rappresenta un pericolo per la scienza evidence based. I medici che sconsigliano i vaccini violano la deontologia professionale e vanno rimossi (parole di Walter Ricciardi, presidente dell’IIS).
TOL. I medici devono essere corretti nell’informare sui vaccini, ma ci possono essere casi in cui effettivamente il medico, in scienza e coscienza, può ritenere opportuno rinviare o evitare le vaccinazioni. Le situazioni individuali sono tante ed è conforme alla deontologia professionale la personalizzazione della cura. Inoltre, la radiazione dei medici critici limita la libertà di pensiero del professionista, al quale viene impedita una valutazione adeguata del singolo caso. La discussione va ricondotta all’ambito scientifico, non a quello disciplinare. Peraltro, il Ministro De Lorenzo, condannato per la tangente GSK per il vaccino antiepatite B, non fu radiato dall’Albo. Perché due pesi e due misure?
LIB e RAD. La radiazione di alcuni medici per aver legittimamente espresso dei dubbi sulla pratica vaccinale indiscriminata non ha nulla a che fare con una discussione scientifica, ma è una pura prova di forza. Un gruppo potente di medici sponsorizzati dalla politica e da Big Pharma vuole difendere con ogni mezzo il lucroso affare concordato a Washington nel 2014. Pur disponendo della propaganda a reti unificate e di media asserviti, vedono come una spina nel fianco i clinici seri, quelli che conoscono per esperienza quotidiana gli effetti delle vaccinazioni sui bambini e che sono perciò preoccupati. Di qui due politiche, il bastone e la carota: la radiazione di qualche medico più esposto consente di educarne cento, colpendone uno (gli altri saranno intimiditi e ridotti al silenzio); d’altra parte, i medici e i pediatri che si rendono collaborativi al piano vaccinale senza se e senza ma, e soprattutto senza scrupoli di coscienza, vengono premiati in denaro, coccolati e vezzeggiati. Tanto perché sia chiaro quale sia la linea giusta da tenere.
In questa oscena lotta di potere, il benessere e la salute dei bambini servono solo come pretesto per giustificarsi di fronte al popolo, che senza verificare si fida delle istituzioni politiche e sanitarie, anziché del proprio giudizio. È triste e penoso che la discussione scientifica, che si nutre di ricerca, di confronto metodologico, di critica, venga mortificata in questo modo. Ma è anche il segno che, sul piano scientifico, chi sostiene questa legge perversa non ha argomenti seri, capaci di reggere una discussione condotta con modalità appropriate. Il dottor Roberto Gava è stato radiato per obiezioni di questo genere.
Soprattutto, questa politica autoritaria mina alla radice la fiducia dell’utente rispetto al medico (come fa a fidarsi, se la sua decisione dipende da incentivi esterni e non dal bene del paziente?) e getta discredito sull’intera classe medica, umiliandone la libertà di pensiero e di espressione. Appare quindi ottusa e miope. In ogni caso, la Costituzione dichiara che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” (art. 33) e che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” (art. 21). Chi vuole zittire un collega per un’opinione scientifica e non per gravi azioni contrarie alla deontologia professionale sta compiendo un gravissimo abuso, che lo colloca al di fuori della democrazia e della scienza. Si tratta di una forma di repressione dittatoriale del dissenso e di censura del libero pensiero che deve essere energicamente contrastata. D’altra parte, un articolo di The Lancet pubblicato qualche mese fa, mostrava una preoccupante tendenza alla dittatura da parte dei medici, rispetto ad altri scienziati. Il linguaggio stesso dei documenti ufficiali tradisce una mentalità inquisitoria e talebana, che tratta il dissenso scientifico come un’eresia religiosa da punire: nel Piano nazionale Vaccini si parla infatti di “azioni di deterrenza e disciplina etica e professionale nei confronti dei medici e degli operatori infedeli che non raccomandano o sconsigliano la vaccinazione” (p. 49). Si possono leggere i toni incredibilmente coercitivi e sanzionatori del Piano Nazionale Vaccini 2017-2019 ed un commento critico, scritto da un infettivologo.
9. Qual è il ruolo della scienza medica in una società democratica?
COE. La scienza non è democratica. Nella scienza, la verità non si decide a maggioranza, ma in base alla competenza. Solo chi è medico può parlare di medicina, chi ne parla senza competenza specifica è un asino ragliante (Prof. Roberto Burioni). In ambito scientifico, sono gli esperti che sanno come stanno le cose e gli altri devono fidarsi di loro. Perciò sui vaccini la gente deve tacere e obbedire.
TOL. La scienza medica richiede competenza, ma questo non significa che nessuno oltre i medici possa parlare di salute. Ci vorrebbero toni più moderati. Il compito del medico è spiegare, persuadere, non costringere. Non è il suo compito.
LIB. La scienza è così democratica che ha in comune con la democrazia il fondamento, ovvero l’indagine critica, libera e aperta (J. Dewey). Identificare la democrazia con la volontà della maggioranza implica una visione assai misera di essa. Certo che nella scienza la verità non si decide a maggioranza e che uno solo può aver ragione contro tutti, ma appunto per questo non è lecita la repressione del dissenso, nessuno possiede la verità e ogni obiezione, anche proveniente da una persona non esperta, va vagliata con rigore metodologico, perché potrebbe essere vera. I primi a insultare, zittire e offendere indistintamente colleghi e profani sono proprio i professoroni talebani che si autolegittimano come unici depositari della Verità e che per ciò stesso sono al di fuori della scienza. La scienza non è un accumulo di dogmi, ma un insieme di verità provvisorie, destinate a sempre nuove revisioni. Nessuno ne è l’interprete autentico e definitivo. Siamo di fronte ad un arrogante e ottuso razzismo dell’intelligenza, che fa male alla scienza e alla democrazia.
Inoltre, in un dibattito come quello sui vaccini, nel quale viene posto come priorità di salute pubblica un problema minore, rispetto ad altre emergenze ben più gravi (si pensi all’inquinamento atmosferico, che in Italia nell’indifferenza generale causa ogni anno 59.500 morti premature in tutte le fasce di età dovute all’eccesso di pm 2,5, 3.300 dovute all’inquinamento da ozono e 21.600 a quello da diossido di azoto – altro che il morbillo!); nel quale vengono diffuse in modo sistematico falsità, mezze verità e plateali mistificazioni; nel quale sono presenti clamorosi conflitti di interessi e grandi interessi in gioco, a spese dei contribuenti, che secondo gli estensori della legge dovrebbero pagare e tacere, ci mancherebbe pure che Pantalone non avesse diritto di parola!
Senza controllo dal basso non c’è democrazia. Senza confronto delle opinioni non c’è democrazia. Chi prende decisioni politiche deve renderne conto ai cittadini. Ed è proprio ciò che non vediamo in questo scenario da fascismo sanitario: rifiuto del confronto e del dibattito con i mezzi e i metodi della scienza, rifiuto del dissenso senza motivazione, atteggiamento autoritario e liberticida nei confronti del cittadino. Già solo questo basta a far comprendere che qui la scienza non c’entra ed è solo una questione di potere. Ma chi sono questi tiranni in camice bianco che si permettono di imporre con tanta arroganza ai cittadini italiani di subire e di tacere? Quali altre ricette di bassa cucina ci stanno preparando? Non c’è niente di cui stare tranquilli, come osserva il dottor Fabio Franchi, che osserva l’analogia dei metodi di propaganda attuali con quelli – sinistri – di un passato che credevamo alle spalle. È in pericolo la democrazia.
Poco tempo fa Richard Horton il direttore di Lancet, una delle più famose riviste scientifiche al mondo, ha scritto che fino alla metà dei cosiddetti “articoli scientifici” apparsi sulle riviste mediche accreditate potrebbe avere una base non scientifica. E ciò non solo a causa della poco ortodossia del metodo o della grandezza dei campioni utilizzati, ma anche per il flagrante conflitto di interessi che vige tra studiosi, medici e case farmaceutiche. (prof. Luca Fazzi).
…la valutazione degli esperti è che metà della letteratura scientifica sia falsa. “La scienza – scrive nel 2015 l’ex direttore di «The Lancet» Richard Horton – sta andando verso l’oscurità”. La sua analisi è spietata: gli scienziati troppo spesso forgiano i dati per avvalorare una tesi precostituita. Oppure rivedono le ipotesi per adattarle ai dati. Anche le riviste meritano la loro parte di critica, mentre le università sono in una lotta costante alla ricerca di soldi e talenti”. John P.A. Joannidis, docente di politiche sanitarie e direttore del Centro prevenzione e ricerca all’Università di Stanford, ha pubblicato nel 2015 su “Plos Medicine” un articolo dal titolo emblematico: “Perché la maggior parte della ricerca è falsa”. Ancor più chiare le conclusioni: adottando una serie di criteri indice della veridicità di uno studio, “le simulazioni dimostrano che per la maggioranza degli studi è assai più probabile che una ricerca sia falsa piuttosto che veritiera”. (dott. Guido Giustetto, Presidente dell’Ordine dei Medici di Torino)
Nota conclusiva.
L’argomento è vastissimo ed è impossibile sintetizzarlo in poche righe. Lo sviluppo maggior riservato agli argomenti della posizione LIB è dovuto a due ragioni: la prima, è che si tratta della posizione più diffusa in Europa occidentale; la seconda è che in Italia sui media questi argomenti sono sottoposti a costante e feroce censura. Segno, peraltro, che sono scomodi, che non si è in grado di smentirli con metodo scientifico e che, se la gente li conoscesse meglio, potrebbe farsi un’opinione più critica e meno convenzionale della faccenda. Da ultimo, a livello di riflessione politica occorre rispondere alla domanda: quale politica vaccinale è compatibile con una visione progressista, social-liberale e democratica della salute? A questo dedicherò una riflessione di sintesi a parte.
“La storia insegna infatti che la tirannia più insidiosa […] è quella che acquista potere attraverso una serie di cedimenti progressivi da parte dei cittadini”. (George Orwell)
“Se non mettiamo la Libertà delle Cure mediche nella Costituzione, verrà il tempo in cui la medicina si organizzerà, piano piano e senza farsene accorgere, in una Dittatura nascosta. E il tentativo di limitare l’arte della medicina solo ad una classe di persone, e la negazione di uguali privilegi alle altre arti, rappresenterà la Bastiglia della scienza medica”. (Benjamin Rush, firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza USA – 17 Sett 1787)
4. Perché escludere dalla scuola d’infanzia e dall’asilo nido i bambini non vaccinati?
COE. Il vero fine della legge è consentire una riduzione dei pericoli per la propria salute a quegli studenti affetti da patologie che controindicano le vaccinazioni e che hanno nei compagni immunizzati l’unica barriera contro le infezioni. Poiché i bambini non vaccinati non forniscono tale barriera, è opportuno che stiano a casa. Anzi, nemmeno nei gradi superiori di scuola dovrebbero essere ammessi, per le stesse ragioni. I non vaccinati sono pericolosi.
TOL Francamente, si poteva anche soprassedere. I bambini frequentano molte persone e molti ambienti e non è certo la scuola l’unico nel quale si possono diffondere malattie. Poi, i bambini immunodepressi possono ammalarsi di qualunque cosa e purtroppo richiedono protezione continua.
LIB e RAD Questo argomento è un esempio evidente della malafede con la quale è stato affrontato il problema. È falso e criminale dire che i bambini non vaccinati siano pericolosi per i pochissimi bambini immunodepressi che frequentano le scuole. In realtà, i bambini non vaccinati sono mediamente più sani di quelli non vaccinati, come mostrano molte ricerche indipendenti e l’esperienza clinica di tanti medici scrupolosi (per esempio, i 120 che firmarono con Roberto Gava una lettera a Walter Ricciardi, presidente dell’ISS , ottenendo, per tanta eretica blasfemìa, l’immediata scomunica mediante radiazione dall’albo del primo firmatario), sempre osteggiate e attaccate dai ricercatori delle case farmaceutiche e dai centri di ricerca pubblici come il CDC americano (il Center for Desease Control, che si occupa di salute pubblica), che da 50 anni rifiutano di condurre studi comparativi seri fra vaccinati e non vaccinati (gli studi comparativi che vengono fatti in quei contesti sono infatti non di rado condotti in modo scorretto, confrontando gruppi di soggetti tutti vaccinati o aggiustando in modo acrobatico i dati in modo da ottenere il risultato desiderato o utilizzando campioni di grandezza molto diversa, quindi non confrontabili, quando non sono del tutto fraudolenti come quello di Thorsen sull’autismo richiamato più avanti, al punto 5). A portare nelle scuole i virus e i batteri sono infatti i bambini appena vaccinati, perché, come si è detto, la maggior parte dei vaccini è studiata per offrire protezione personale contro la malattia, non per impedire la circolazione dell’agente patogeno, che circola tanto fra i vaccinati che fra i non vaccinati. Ma di questo nessuno si preoccupa di avvisare i genitori (i foglietti illustrativi di alcuni vaccini raccomandano di tenere i bambini lontani da coetanei e donne incinte per parecchi giorni dopo l’inoculazione del vaccino), segno che la salute degli immunodepressi è un pretesto pietoso e peloso per una finalità diversa.
Escludere i bambini non vaccinati dall’asilo nido e dalla scuola d’infanzia, oltre ad essere un’odiosa discriminazione che viola almeno 3 o 4 principi costituzionali (come dice il Presidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena), è una forma di vergognoso ricatto per i genitori inadempienti, per costringerli a far vaccinare i figli. Punto. Niente più di questo. È criminale però che si trattino i bambini sani non vaccinati come degli untori. Lo Stato ha il dovere di proteggere questi piccoli cittadini dalla discriminazione, invece si è assistito a scene vergognose di espulsioni dalla scuola da cui erano già iscritti. E qui si vede la qualità morale e la bassezza politica di chi ha ideato questa legge. Roba da leggi razziali fasciste.
5. Esistono o no gli effetti avversi?
COE. Praticamente sono inesistenti e al più di lieve entità. Al massimo 3 o 4 negli ultimi vent’anni (dott. Alberto Villani, Presidente della Società Italiana di Pediatria). Generalmente i vaccini sono tollerati molto bene e non causano alcun disturbo; tuttavia possono provocare talvolta reazioni fastidiose, ma temporanee come rossore e gonfiore nel punto di inoculo, reazioni generali come febbre, agitazione o sonnolenza. Gli effetti collaterali più gravi, come lo shock anafilattico o alcune manifestazioni neurologiche, sono assolutamente eccezionali e certamente molto meno frequenti delle complicanze provocate dalla malattia stessa. Se compare un grave disturbo per es. neurologico dopo la vaccinazione, o peggio la morte, non dipende quasi certamente da essa, perché le vaccinazioni non hanno effetti così gravi e successione temporale non significa causalità. La letteratura scientifica è concorde sul fatto che i vaccini siano sicurissimi. Ci aveva provato quel dottor Wakefield a dire che il vaccino MPR (morbillo-parotite-rosolia) causa l’autismo, ma è stato sbugiardato da studi successivi, e meno male, perché molti genitori stavano smettendo di far vaccinare i figli con l’MPR. Si possono fare tutte le vaccinazioni che si vuole senza alcun danno. Sia nel caso dei militari che in quello dei bambini naturalmente vaccinati, le stimolazioni vaccinali non evidenziano scostamenti significativi dal resto della popolazione. Quindi, ricordiamo: non allergie, non malattie autoimmuni, non maggior frequenza di altre malattie in genere (Sen. Cattaneo, p. 40). Si può vaccinare tranquillamente un soggetto già immunizzato per via naturale. L’unico effetto che si produce ripetendo una vaccinazione in un soggetto immunizzato – e non c’è alcuna differenza tra immunità naturale da malattia e immunità da vaccino – è un aumento delle difese immunitarie (Sen. Fucksia, p. 15). È stato calcolato che potremmo vaccinare contemporaneamente in tutta sicurezza un bambino con diecimila vaccini, ma purtroppo ne abbiamo molti di meno. (prof. Burioni).
TOL. Sono rari e normalmente non gravi. Però esistono senz’altro. Si tratta pur sempre di farmaci. Comunque bisognerebbe monitorare attentamente e invitare i genitori a segnalare qualunque anomalia essi ravvisino nei loro figli. Senza una sorveglianza efficace è difficile sapere quanti sono esattamente.
LIB e RAD. Come sempre, nelle dichiarazioni ufficiali, sul rapporto rischi-benefici, la bilancia ha una pietra dal lato dei benefici e una piuma dal lato dei rischi. La paura delle malattie coperte dai vaccini viene ingigantita, con una strategia ben collaudata (si veda questa presentazione del CDC, a pag. 8, in inglese e in italiano o questo poster del prof. Paolo Bonanni), così la gente non si mette a fare i conti e ad indagare, mentre viene taciuta l’informazione sugli effetti avversi. In realtà nessuno sa quanti siano realmente, perché non c’è alcun interesse a individuarli e la segnalazione viene spesso scoraggiata. Abbiamo solo delle stime, estremamente al ribasso.
Però nel 2018 è uscito in Italia uno studio ufficiale (uno dei pochissimi, ovviamente) di vaccinovigilanza attiva, ovvero di monitoraggio costante delle reazioni alla somministrazione della prima dose del vaccino MPRV per 12 mesi, condotto dalla Regione Puglia e relativo al 2017. Risultato: 40% di reazioni avverse al vaccino, 4% del totale quelle gravi, di cui i tre quarti sicuramente collegate al vaccino, in base ai parametri OMS. Un’enormità. E sono solo quelle che si presentano nei primi 12 mesi. Di quelle a lungo termine non si sa nulla. Vuol dire 3 su 100, ovvero 30.000 casi su un milione di bambini vaccinati. Altro che uno su un milione! Eppure, questi dati assai preoccupanti vengono collocati in fondo al Report (pp. 27 e seguenti), senza alcun commento, come se non avessero alcuna importanza. Nella presentazione che ne viene data su Quotidiano Sanità, appaiono completamente annacquati, con una procedura sconcertante, come si può verificare in questo articolo di analisi. E chi va a controllare con la calcolatrice in mano?
Sugli effetti avversi si possono fare diverse considerazioni: la prima, si evince dalla storia delle campagne vaccinali, che però non compare negli opuscoli ad uso del popolo. Quanti sanno, per esempio, che la vaccinazione Salk contro la poliomielite a metà anni ‘50 fu un disastro, perché il virus, rimasto vivo dopo un trattamento che doveva ucciderlo presso l’azienda Cutter (ma non solo questa), provocò moltissimi casi di poliomielite (220.000) nei bambini vaccinati, più di quanti ne avesse colpiti il virus selvaggio (lo dice Paul Offit, il più famoso dei pediatri americani “vaccinisti”: Paul Offit, MD, The Cutter Incident, Yale University Press, 2005, p. 86)? E che, sempre secondo Paul Offit, 70.000 di loro svilupparono debolezza muscolare, 164 andarono incontro a paralisi severa e 10 morirono? E che il 75% delle vittime dell’incidente Cutter rimasero paralizzati per il resto della loro vita? E che il governo americano autorizzò il vaccino, nonostante lo studio condotto in Michigan su oltre 1 milione di bambini avesse riscontrato un numero più elevato di casi di polio fra i vaccinati che fra i non vaccinati? E che si ritiene che l’87% dei casi di polio dal 1970 negli USA derivino dall’uso del vaccino antipolio (Sabin)? E quanti sanno che il poliovirus, endemico in molte zone del mondo e relativamente innocuo in condizioni normali, provoca paralisi in determinate situazioni di rischio, fra le quali le iniezioni, le vaccinazioni DTP (diferite-tetano-pertosse), la tonsillectomia (questo lo dice in un impeto di sincerità anche l’OMS)? Vuol dire che, in assenza di condizioni sfavorevoli, per lo più non fa danno. E quanti sanno che decine di milioni di dosi di vaccino Salk (e più tardi un certo numero di dosi di vaccino orale Sabin) fra gli anni 1955 e 1963 furono infettate con il virus SV40, un virus di scimmia che potrebbe essere la causa di migliaia di casi di mesotelioma pleurico, tumori al cervello, linfomi non-Hodgkin e osteosarcomi? E che il virus sembra possa essere diffuso non solo tramite vaccino, ma anche tramite infezione orizzontale?
La letteratura scientifica è concorde su tre aspetti: che l’SV40 è arrivato nell’uomo tramite il vaccino antipolio, che è stato trovato nei 4 tipi di tumori indicati e che i test fatti su animali di laboratorio con l’SV40 hanno mostrato il rapido sviluppo di questi 4 tipi di tumori. Si discute invece su quanto sia rilevante l’effetto cancerogeno sull’uomo. Nutrono ancora dei dubbi le autorità sanitarie statunitensi (CDC e NCI), ma esiste ormai una vasta letteratura al riguardo, anche in Italia. E che “sotto il profilo epidemiologico, in Italia i trends di mortalità per tumore della pleura sono raddoppiati negli ultimi 20 anni. In Europa è prevista, nei prossimi anni, una vera e propria epidemia: il numero totale di morti attese per tumori pleurici tra il 1995 e il 2029 è pari a 190.200, di cui 28.300 in Italia” (Fonte: DICIOTTO Notiziario Aziendale ULSS 18 di Rovigo anno 6 – n. 21 agosto 2000 pag. 22-23)?
Di questi argomenti così poco dotati di appeal al di fuori dei convegni medici non si sente parlare quando si magnifica la sicurezza dei vaccini. Sulla base dei dati ISTAT in Italia i morti complessivamente per poliovirus fra il 1924 e il 1972 furono 14.631 (non si sa quanti dei quali provocati dalla vaccinazione), contro i 28.300 tra casi di morti previste o avvenute per mesotelioma, che sono solo una parte dei possibili danni da vaccinazione Salk (si ricordi dei tumori cerebrali, dei linfomi e degli osteosarcomi). Da che parte penda la bilancia costi/benefici, lo giudichi ciascuno da sé (per la storia dell’SV40, si può leggere qui).
Certo, si dirà che oggi i vaccini sono più sicuri. Cosa, peraltro, messa in dubbio dalle analisi dei prodotti vaccinali somministrati attualmente in Italia commissionata dal CORVELVA presso diversi laboratori indipendenti e i cui risultanti sono molto preoccupanti. Anche questo, nel silenzio assordante delle autorità sanitarie. E certamente non bisogna generalizzare; non tutti i vaccini sono uguali. Ma occorre ricordare che, negli anni ‘50, la propaganda governativa statunitense aveva gli stessi toni trionfalistici di ora. Si legga questo resoconto di un panel fra medici della Sanità pubblica statunitense nel 1960 sulla vaccinazione Salk. E che non si tratta dell’unico caso. Si potrebbe per esempio approfondire la vaccinazione antivaiolosa. L’eradicazione del vaiolo in Africa, per esempio, come racconta anche il sito Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità fu reso possibile dall’effetto combinato dell’isolamento delle persone infette e della vaccinazione selettiva, non dalla vaccinazione di massa, che presentava un elevato numero di effetti avversi e in non pochi casi provocava più morti della malattia. Nel frattempo, vengono periodicamente ritirate partite di vaccini pericolosi, le cause civili di indennizzo aumentano ovunque, nonostante si faccia di tutto per negare ogni correlazione con le vaccinazioni (quasi 4 miliardi di dollari di risarcimenti negli USA), le autorità sanitarie non hanno letteralmente idea di quanti siano i danni da vaccino, perché ne vengono segnalati solo una piccola parte (si calcola ottimisticamente un decimo di quelli reali, ma alcuni studi condotti sui dati VAERS, il programma di vaccinovigilanza passiva USA, fra cui quello di Kessler, ex commissario della FDA, stimano una segnalazione del 2 o dell’1% dei casi effettivi di danni gravi, il che vorrebbe dire che ne sfuggono il 98 o il 99%) e i medici preposti non sempre raccolgono volentieri le poche segnalazioni (ai genitori viene detto che, se il problema è grave, non può essere il vaccino, per cui non collegano subito il problema del figlio alla vaccinazione).
L’evidente sproporzione di effetti avversi registrati fra il Veneto, che ha un buon sistema di vigilanza post-vaccinale attiva, e le altre regioni dimostra che l’AIFA non è in grado di garantire neppure un monitoraggio uniforme sul territorio nazionale. Molti danni a lungo termine, come le patologie autoimmuni o oncologiche, non si possono prevedere, perché spesso le patologie hanno cause plurime e complesse e possono dipendere dall’interazione di fattori genetici e ambientali. Scoprirli richiede studi lunghi, accurati e indipendenti (le case farmaceutiche non hanno interesse a condurli).
Per fare un esempio, anni o decenni dopo la vaccinazione antivaiolosa un certo numero di persone vaccinate presentano tumori nella cicatrice vaccinale. Una serie di studi, riguardanti la relazione fra diverse sostanze, fra cui i vaccini, e i tumori si trova qui. Come si potevano prevedere allora? Quando non si sa, meglio essere prudenti! Perciò, somministrare i vaccini in modo indiscriminato nella popolazione aumenta sensibilmente il rischio (l’SV40 ce lo mostra vividamente) ed è contrario al principio medico basilare della personalizzazione della cura. La variabilità genetica della popolazione rende la vaccinazione di massa uguale per tutti – come per i polli in batteria – simile ad una roulette russa. Il ragionamento delle autorità sanitarie è questo: “Se hai i geni sbagliati, peggio per te! È evidente che non è colpa del vaccino” (!). L’adversomica, ovvero l’immunogenetica degli eventi avversi da vaccino, è ancora ai primi passi. E se non si possono ancora prevedere le vulnerabilità genetiche che rendono più probabili i danni da vaccino, perché somministrare lo stesso farmaco a tutti? Nessuno ha il diritto di sacrificare la salute o la vita di qualcun altro per un ipotetico vantaggio collettivo, tutto da dimostrare. Sarebbe come prendere il primo passante che capita per espiantargli gli organi a favore di altri 5. E fra i risarciti per danno vaccinale, come nell’incidente Cutter, ci sono pure i morti. Per una riflessione d’insieme sugli effetti avversi da vaccino si può leggere qui.
Infine, sul caso Wakefield si dimentica, come dice la dottoressa Gabriella Lesmo, madre di un bambino diventato autistico dopo la vaccinazione, che
“il dottor Andrew Wakefield (…) assieme ad altri colleghi londinesi evidenziò la presenza di virus del morbillo nei linfonodi intestinali di bambini autistici con malattia infiammatoria intestinale (…) questa prima parte del lavoro di Wakefield fu confermata, sin da allora, da un immunologo universitario giapponese, il Dr Kawashima. Questi fu in grado di identificare il virus del morbillo riscontrato nei linfonodi ileali ed era il virus vaccinale. In tempi recenti i lavori londinesi di Wakefield sono stati riabilitati ed il suo allora primario londinese ha avuto la meglio contro chi lo volle cacciare.
Per dovere di verità ricordo anche che alcuni studi danesi, citati per anni a dimostrazione della inesistente correlazione tra vaccinazioni e insorgenza di autismo si sono rivelati FALSI. Il principale autore degli studi danesi fu il Dr. Paul Thorsen, attualmente latitante, che figura nella lista dei maggiori ricercati dalla FBI, contro cui è stato spiccato mandato di cattura per una lunga serie di reati federali contestatigli negli Stati Uniti, in merito alle ricerche sull’Autismo. Lo “scandalo nello scandalo” è emerso altresì dalle dichiarazioni del Deputato americano Bill Posey, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della Florida che traduco, l’originale lo trova in rete. “… Se leggete le e-mail e i dati relativi alle riunioni, nonché le disposizioni finanziarie che questo truffatore ha intrattenuto con il CDC, vi farà assolutamente venire il voltastomaco. Costui non era un ricercatore qualunque. Costui era l’uomo chiave del CDC in Danimarca. Costui era strettamente legato ai migliori ricercatori nell’ambito della sicurezza dei vaccini del CDC … e Thorsen ha cucinato gli studi per produrre i risultati che volevano diffondere. A loro non importava se gli studi fossero validi o quanto veniva pagato per manipolarli dall’inizio”.
Per una ricostruzione del caso Wakefield si può leggere qui. Un video molto documentato e illuminante invece si può seguire qui. Il documentario Vaxxed, che racconta il caso Wakefield, è stato censurato ovunque. Evidentemente espone una verità scomoda. Molti studi hanno confermato i risultati delle ricerche di Wakefield, il cui unico torto è stato quello di invitare i genitori ad utilizzare il vaccino monovalente per il morbillo, anziché il più costoso e sponsorizzato trivalente MPR, che mostrava un elevato numero di effetti avversi. Ci si può chiedere perché le autorità sanitarie non mostrino altrettanta solerzia a screditare studi certamente fraudolenti come quello di Thorsen.
La controversa questione della relazione fra i vaccini e l’autismo regressivo, ovvero quel particolare tipo di encefalopatia, distinta dall’autismo primario, che si manifesta in bambini con uno sviluppo prima normale, che è in drammatico aumento negli USA, è ben lungi dall’essere risolta. Secondo i dati ufficiali USA si è passati da 1 caso di autismo su 10.000 40 anni fa a 1 su 68 nel 2012 a 1 su 41 nel 2014. In Italia i casi sono in aumento, ma non si sa quanti siano). Non si è arrivati ancora a nessuna conclusione definitiva né in senso né nell’altro, ma gli studi che hanno riscontrato questa relazione esistono e sono numerosi. Alcuni hanno confermato le scoperte di Wakefield. Per chi vuole farsi un’idea del problema, può essere utile questo documentario.
“La letteratura scientifica attuale conferma l’evidenza clinica che quanto maggiore è il numero di vaccini somministrati contemporaneamente e quanto più è piccolo, immaturo e/o nato prematuramente il bambino, tanto maggiori sono i rischi di reazioni avverse: ospedalizzazione per gravi patologie o addirittura morte, specialmente quando il vaccino antiepatite B viene somministrato alla nascita” (G. Tarro, 10 cose da sapere sui vaccini, Newton Compton, 2018, pp. 182-183).
Lo studio assai importante di Goldman e Miller, condotto sui dati VAERS, pur rilevando la grave sottostima dei dati reali, indica in 65 ogni 100.000 bambini vaccinati i casi di reazione avversa grave o gravissima segnalati (ospedalizzazione o morte). Secondo i due autori dello studio,
mentre ogni vaccino per neonati è stato sottoposto individualmente a studi clinici per valutarne la sicurezza, non sono stati condotti studi clinici per determinare la sicurezza (o l’efficacia) dei vaccini multipli, la cui somministrazione viene raccomandata dalle linee guida dei CDC [traduzione di Giulio Tarro, p. 185].
Poiché la maggior parte degli effetti avversi da vaccino si verificano nei neonati, perché non ritardare nel tempo le vaccinazioni? Era questa una delle richieste di Wakefield. Con un sistema immunitario più maturo, ci vorrebbero fra l’altro meno dosi (1 invece di 3 o 4) e per parecchie malattie non c’è urgenza reale di vaccinare. Ma non è che sia proprio somministrare un maggior numero di dosi la priorità delle aziende farmaceutiche?
Molti ricercatori hanno svolto studi sui danni da vaccino. Ce ne sono migliaia, e per molti di loro questa scelta mette a rischio la carriera e chiude parecchie porte. Si possono ricordare come esempio il prof. R. K. Gherardi, che ha studiato la miofascite macrofagica come effetto dell’inoculazione di sali di alluminio (adiuvanti dei vaccini); il prof. Yehuda Schoenfeld, uno dei più autorevoli esperti di malattie autoimmuni al mondo, che ha raccolto in un corposo volume una serie di ricerche sulla possibile relazione fra vaccini e malattie autoimmuni in soggetti predisposti (sulla relazione fra vaccini e autoimmunità vertono anche le relazioni dei medici delle Commissioni parlamentari della Difesa già citate, sulle quali grava ora l’ombra della censura e le raccomandazione della SIPNEI, Società Italiana di PsicoNeuroEndocrinoImmunologia); il premio Nobel Luc Montagnier e il prof. Henri Joyeux, che invitano a ritirare l’obbligo vaccinale in Francia e astudiare più a fondo la relazione vaccini-autismo regressivo e altre patologie neurologiche; la dottoressa Diane Harper, consulente della Merck nel percorso di approvazione del vaccino Gardasil contro il papillomavirus, che ha definito questo vaccino “né efficace né sicuro” (tra l’altro, sul vaccino antipapillomavirus, la TV svizzera ha realizzato programmi ben più indipendenti di quelli della TV italiana, con l’eccezione di Report); la Dott.sa Bernadine Healy, cardiologa direttrice del NIH, che osserva come gli studi che possono mostrare una relazione fra vaccini e autismo vengano osteggiati per timore che l’eventuale dimostrazione metta a rischio i programmi vaccinali; la dott.sa Viera Scheibner dimostrò negli anni ‘80 che, nel periodo 1975-80, quando in Giappone la vaccinazione DTP venne ritardata a 2 anni di età, i casi di SIDS (morte in culla) e di danni permanenti crollarono nella misura dell’85-90%, per risalire subito quando venne nuovamente prevista a 3 mesi di età. Sulla relazione fra SIDS e vaccini esistono diversi studi: sul vaccino DTP, sul vaccino esavalente (anche qui). Il dottor Jacob Puliyel, primario del reparto di pediatria all’ospedale St. Stephen, in India, medico e epidemiologo, ha esaminato la sindrome della morte improvvisa dopo vaccinazione esavalente con “Infarix hexa”. Ha osservato che l’83% delle morti improvvise del 2012 sono avvenute entro 10 giorni dalla vaccinazione con Infarix Hexa, mentre solo 17% sono avvenute dopo il decimo giorno. Ha osservato che se fossero coincidenze, le morti avrebbero dovuto raggrupparsi uniformemente attraverso i 20 giorni successivi a vaccinazione e non quasi tutte nei primi 10 giorni. La GSK, produttrice del vaccino, avrebbe riferito i dati in modo incompleto, occultando la relazione causale. Su questo, l’on. Ivan Catalano, vice presidente della IV Commissione parlamentare della Difesa sulla salute dei militari italiani, dato l’elevato numero dei casi recenti di bambini morti per SIDS, ha rivolto un’interrogazione parlamentare al Ministro Lorenzin senza ottenere risposta. La dott.sa Humphreys, che ha cominciato a studiare i danni da vaccino dopo averne incontrati nella sua esperienza clinica, ha ridimensionato il ruolo delle vaccinazioni nella riduzione delle malattie infettive, in particolare della poliomielite. Come molti altri medici critici, ha ricevuto in questi giorni serie minacce di morte.
Un ruolo causale, insieme ad altri fattori, dei danni da vaccino è attribuito in letteratura agli adiuvanti metallici, come i sali di alluminio, a conservanti, come il mercurio (nella forma di etilmercurio o Thimerosal), a sostanze chimiche come la formaldeide, all’aggiunta di eccipienti, cellule animali, DNA umano da feti abortiti (li si riconosce dalle sigle MRC-5 e WI-38), antibiotici (per esempio, la Neomicina, sconsigliata per i neonati). Qui si trova un elenco delle sostanze contenute nei vaccini (fonte: John Hopkins Institute) e qui un elenco degli ingredienti dei singoli vaccini (fonte: FDA e CDC). Il problema è che normalmente né i singoli ingredienti vengono testati separatamente né lo è la loro combinazione. Spesso gli adiuvanti vengono introdotti nei soggetti del gruppo di controllo, rendendo impossibile rilevarne gli effetti. Di solito viene studiato il vaccino nel suo insieme. Quindi non si hanno informazioni sicure sulla relativa tossicità.
Per fare un esempio, il Thimerosal o etilmercurio, usato per sterilizzare i vaccini per decenni e fortemente indiziato di provocare gravi danni fin dalla riunione di Simpsonwood del CDC nel 2000 (che effetto abbia il mercurio sui neuroni cerebrali è illustrato da questo breve video dell’Università di Calgary), è stato teoricamente tolto dai vaccini, ma si trova in tracce in diversi preparati (interessante al proposito il documentario Trace amounts) e in quantità elevate (circa 50 mcg di Thimerosal corrispondono a circa 25 mcg di mercurio/dose) in diversi vaccini antiinfluenzali (vedere tabella ingredienti), che la propaganda politico-sanitaria vorrebbe iniettare anche ai neonati e ai bambini. La dose settimanale di metilmercurio (composto simile all’etilmercurio, ma assunto per via alimentare, non per via iniettiva) tollerabile è fissata dall’EFSA a 1,3 mcg/kg di peso corporeo. Purtroppo, si sa molto della tossicità del metilmercurio e molto meno di quella dell’etilmercurio. In Italia, dopo la messa al bando del Thimerosal, sono state smaltite a lungo le scorte di vaccini che lo contenevano, come raccontava la trasmissione Report nel 2000. Eppure, proprio sul ruolo dei metalli come il mercurio quale concausa nello sviluppo di molte patologie hanno puntato il dito i medici e i ricercatori del Progetto Signum sui militari italiani.
Nel 2016, il Nordic Cochrane Institute, in un documento intitolato Complaint to the European Medicines Agency (EMA) over maladministration at the EMA, a firma del direttore, Peter Gøtzsche e di altri quattro colleghi, accusò l’EMA (l’Agenzia europea per i medicinali) di scarsa trasparenza e serietà nel valutare la sicurezza del vaccino contro il papillomavirus e di aver negato l’esistenza di danni da vaccinazione, pur a fronte di uno studio condotto in precedenza dall’EMA sul vaccino in questione, che mostrava conclusioni assai diverse e i cui risultati furono secretati ad uso interno, mostrando che “le valutazioni di EMA sono poco professionali, ingannevoli, inappropriate e non scientifiche”. Dallo studio secretato (EMA/666938/2015, di 256 pagine, di cui solo 40 pubblicate), emergeva un’alta probabilità di relazione fra il vaccino anti-HPV e due patologie, la Sindrome da dolore regionale complesso [CRPS], una condizione di dolore cronico agli arti, e la Sindrome da tachicardia posturale ortostatica [POTS], in cui la frequenza cardiaca aumenta in maniera anomala dopo che ci si siede o ci si alza. Il NCI chiedeva di chiarire la questione dei conflitti di interesse, perché il direttore dell’EMA, come altri esperti dell’Agenzia europea, è comproprietario di alcuni brevetti riguardanti i vaccini ed ha dichiarato l’insussistenza di conflitti di interesse. Per approfondire la questione, si può leggere qui.
Non si possono elencare qui le migliaia di studi scientifici che ogni giorno mostrano relazioni a breve, medio e lungo termine fra vaccinazioni e danni alla salute di diversa entità. Il fatto è che quando uno studio mette in discussione la vulgata ufficiale sui vaccini e i guadagni di Big Pharma, viene ignorato oppure screditato, senza entrare nel merito, sebbene fra gli studi che mostrano l’assenza della relazione fra vaccino e danno (che non significa l’innocuità dei vaccini, beninteso) vi siano molti casi di frode, di clamorosi errori metodologici o di sponsorizzazione da parte delle aziende farmaceutiche. Un esempio di studio ignorato è questo, che mette in relazione il numero di dosi vaccinali e la mortalità infantile (qui l’originale e qui la risposta di Paolo Barnard alle critiche). Un esempio di studio autoptico su un caso di encefalopatia da vaccino antimorbillo si trova qui. Un esempio di studio scorretto è uno studio giapponese del 2005 che, contrariamente alle intenzioni degli autori (due psichiatri non ricercatori), una volta emendato da alcuni grossolani errori metodologici e integrato con altri studi, mostra un’impressionante relazione fra numero di dosi vaccinali MMR, di anti-morbillo monovalente, di anti-rosolia monovalente, di anti-encefalite giapponese e numero di casi di autismo anno per anno, che seguono il ritiro e la reimmissione del vaccino MMR in Giappone. (“Flawed Science by Doctors Not Scientists”).
La censura è comunque un segno di debolezza, oltre che di prevaricazione. Esemplare il caso di Vaxxed, il documentario che narra dell’insabbiamento delle prove sulla relazione vaccini-autismo da parte del CDC, che è stato censurato in Italia, in barba all’articolo 21 della Costituzione, perché sgradito al Ministro Lorenzin e alle autorità sanitarie. Le autorità politiche e sanitarie non possono tollerare il dissenso perché non sono in grado di portare argomenti convincenti in un confronto veramente aperto e rivolto a tutelare la salute dei bambini. Se lo fossero, prenderebbero a cuore i potenziali rischi, invece di negarli con una ostinazione che rasenta il grottesco. Non sono affatto imparziali rispetto al dibattito scientifico sui vaccini, ma sempre e solo schierate pregiudizialmente a difesa delle vaccinazioni di massa.
Di fronte a considerazioni come queste, come si può obbligare a cuor leggero? Nessuno, meno che mai sano, può essere obbligato ad un trattamento medico anche solo potenzialmente pericoloso e nessuno può garantire l’assoluta innocuità a lungo termine di un preparato medico. Nessun medico sarà mai disposto a firmare una dichiarazione scritta di assoluta innocuità per il vaccinando del vaccino che sta per somministrare. Soprattutto, nessuno può dire con onestà intellettuale che la presunta assenza di evidenze in favore di un rapporto causale fra vaccino e determinate gravi patologie equivalga alla prova che tale relazione non ci sia. Dire che non c’è evidenza di una relazione causale può diventare un modo ingannevole per far creder che ci sia la prova di un’assenza di tale relazione, quando in realtà tale prova non è possibile. Anche per il fumo le aziende produttrici di sigarette negarono per 50 anni con questa formula che ci fosse relazione causale con i tumori al polmone. Ma l’assenza di una prova non è la prova di un’assenza. Tanto più che gli studi in favore di tale rapporto causale sono migliaia, anche se li si ignora con ostinazione, visto che mettono a rischio un business lucroso. Nel dubbio, prevalga almeno il principio di precauzione.
RAD Per queste ragioni lo Stato nemmeno dovrebbe buttare via denaro pubblico per campagne vaccinali che avvantaggiano solo le case farmaceutiche e i cui danni sono letteralmente incalcolabili, perché a nessuno interessa calcolarli. L’insabbiamento è la regola in ambito vaccinale, perché se la gente sapesse, avrebbe paura delle vaccinazioni. Chi ha la sfortuna di essere uno dei danneggiati, si vivrà il suo dramma in totale solitudine e se anche qualche medico ammetterà in privato che sì, il danno è causato dal vaccino, come succede a molti genitori, non sarà mai disposto a giocarsi la carriera dichiarandolo apertamente. Questa è la situazione. Proprio per questo ora cercano di zittire chiunque cerchi di aprire una crepa nel muro del silenzio sui danni da vaccino. Molti non sanno nemmeno che le loro patologie sono conseguenza dell’interazione fra una vulnerabilità genetica e alcuni fattori ambientali, fra i quali ci sono anche le vaccinazioni, semplicemente perché nessuno glielo ha mai detto e perché perfino i medici non sono tutti formati su questo. E vengono pagati per vaccinare e non vedere nulla. Eppure i danneggiati da vaccino esistono e sono persone che hanno creduto, come moltissime altre, all’innocuità dei vaccini. Ecco alcuni casi: testimonianze di iscritti al CONDAV; il caso di Christian, 5 anni; la storia di Federica Santi; il dolore di un genitore che aveva fiducia nei vaccini e a cui lo Stato nega il risarcimento; le testimonianze raccolte da Famiglia Cristiana; la storia di Nicola; un uomo danneggiato da vaccino antipolio e risarcito dopo 50 anni; la storia di una mamma infermiera e di suo figlio Ridge; la storia di Alessandra, sanissima fino a 5 anni e rovinata dal vaccino DTP. Ce ne sono centinaia di casi così.
6. Chi deve risarcire i danni?
COE e TOL. Lo Stato. Se lo Stato obbliga, deve anche risarcire i danni eventuali, che peraltro sono rarissimi, massimo uno su un milione, come stabilisce la legge 210 del 1992.
LIB e RAD. Devono pagare le case produttrici! Il fatto che paghi lo Stato, cioè noi contribuenti, è scandaloso per due ragioni: la prima è che le vaccinazioni rappresentano per Big Pharma un affare lucrosissimo, senza alcun rischio di perdita, e quindi senza alcuna responsabilizzazione sugli effetti collaterali o avversi; la seconda è che così le case farmaceutiche non sono incentivate ad investire in sicurezza e possono mettere in circolazione prodotti scadenti impunemente, con la certezza che le autorità sanitarie continueranno a negare gli effetti avversi. Questo perché ai genitori di un bambino danneggiato da vaccino tocca l’onere della prova (immaginate un po’ con quali armi combatte la battaglia e contro quale avversario!) e per farlo, dopo il diniego certissimo della Commissione Militare Ospedaliera, dovrà rivolgersi al Tribunale accollandosi le spese e trovare un medico legale che faccia la perizia. Non sarà facile, perché un medico che accetti questo ruolo ingrato (come è successo al bravissimo dottor Dario Miedico, radiato dall’Albo con un atto che getterà perenne discredito sull’Ordine, a memoria dell’immoralità di questa legge) sarà minacciato di radiazione e il perito del giudice (il CTU), se vuole campare come medico, dovrà negare il nesso. Le pressioni a negare ogni rapporto di causalità sono fortissime e tali da limitare fortemente la libertà di coscienza del medico. Il giudice in molti casi ascolterà il perito del Tribunale (l’ISS, nel suo impeto di onnipotenza, sta già cercando da un po’ di influenzare anche i giudici) e così andrà d’ora in poi. Già prima era difficilissimo ottenere il riconoscimento del danno, ora sarà quasi impossibile, visto il clima intimidatorio intorno ai medici che lavorano in scienza e coscienza. Inoltre, pochi sanno che le norme attuali sulle autopsie giudiziarie, che risalgono incredibilmente alla Circolare Fani del 1910, prevedono l’utilizzo della formalina, che cancella le tracce di agenti patogeni nei tessuti dei soggetti deceduti, anziché la crioconservazione del campione autoptico, che consente indagini obiettive. Quindi, niente tracce. Senza tracce, non c’è prova e quindi nemmeno danno.
Eppure, nonostante le enormi difficoltà, grazie a perizie eccellenti molti genitori negli anni hanno ottenuto il riconoscimento del danno irreversibile ed il diritto al risarcimento dello Stato, come ha segnalato lo stesso Ministro Lorenzin in risposta ad un’interrogazione parlamentare. Si tratta di parecchie migliaia di casi, dei quali solo 631 risultarono indennizzati nel luglio 2015. Segno che i danni sono molto più numerosi di quello che si continua a fare credere (certamente, molti più di uno su un milione!). Eppure, lo Stato non sempre paga e non paga subito. Probabilmente, quasi nessuno sa che come è stato difficile per i bambini italiani, diventati paralitici in seguito al vaccino Salk nei lontani anni ‘50, ottenere il risarcimento, ancora negato dallo Stato nel 2009. Insomma, se vi capita in famiglia un danno da vaccino, sarete nell’ordine sbeffeggiati come genitori visionari e paranoici, non avrete modo di far valere le vostre ragioni e non otterrete nulla, a meno di un miracolo. E si tratta di vite rovinate per sempre, come questa. Questo non è accettabile in un Paese democratico.
Dopo i primi due articoli sull’obbligo vaccinale, il primo sugli aspetti etico-giuridici, il secondo sulle modalità autoritarie e manipolative del decreto Lorenzin, proseguo la riflessione sull’argomento provando a delineare un quadro complessivo dello scontro in corso, nella speranza di poter fornire un primo schema orientativo nell’enorme complessità della questione, senza alcuna pretesa di completezza e senza alcuna presunzione di sapere chi ha ragione e chi ha torto. Siamo infatti pienamente nel campo dell’opinabile, nonostante la strategia mediatica di contrapporre Verità ed eresia, ed è giusto che ciascuno si formi un’opinione propria. D’altra parte, quello che proverò a ricostruire è un dibattito impossibile, per il rifiuto delle istituzioni politiche e sanitarie a dialogare con posizioni critiche, a beneficio dei cittadini e della trasparenza democratica.
Per fare un quadro sintetico delle diverse posizioni in tema di obbligo vaccinale, occorre elencare ed esaminare alcuni punti controversi del dibattito e vedere con quali argomenti vengono affrontati dalle varie fazioni. Questo resoconto cerca di essere descrittivo e sufficientemente imparziale, anche se chi scrive ha maturato una chiara posizione personale, esplicitamente dichiarata, sulla base dei fatti richiamati.
Sono però necessarie almeno tre premesse.
In primo luogo, c’è una sproporzione macroscopica di forze in campo: da una parte, il Governo, gli accordi commerciali internazionali del GHSA, le multinazionali farmaceutiche, la finanza internazionale (che punta sui cosiddetti bond vaccinali), i vertici delle istituzioni sanitarie pubbliche, l’Ordine dei Medici e la stampa mainstream, dall’altra dei gruppi numerosi, ma minoritari di cittadini combattivi (continuamente delegittimati e ridicolizzati dal blocco politico-sanitario-mediatico), un numero significativo di medici, soprattutto clinici, ma anche ricercatori (intimiditi e minacciati di radiazione dall’Ordine professionale per ogni presa di posizione critica) e un proliferare di associazioni e iniziative dal basso, accuratamente silenziate dalla stampa e dalla televisione. Il sociologo Ugo Viale ha sintetizzato benissimo la questione della contestazione al decreto Lorenzin e della inaccettabile censura alla quale è stata sottoposta.
In secondo luogo, le modalità del dibattito sono palesemente drogate da falsità, colpi bassi e fallacie argomentative che sono più tipiche di un sistema autoritario che di una democrazia avanzata e di un serio dibattito scientifico. Questo aspetto comunicativo rende difficile formarsi un’opinione basata su dati obiettivi, come sarebbe necessario in democrazia, e nell’insieme indebolisce la forza persuasiva degli argomenti “ufficiali”, ingenerando il sospetto che non siano così solidi, se devono essere sostenuti in modo manipolativo o decisamente coercitivo, anziché attraverso una discussione razionale, serena e pacata.
In terzo luogo, è necessario scindere la valutazione della necessità, sicurezza ed efficacia delle singole vaccinazioni – ricordando che tale valutazione non può essere fatta in blocco, ma sempre sui singoli preparati farmaceutici e sugli eventuali effetti aggregati – dalla opportunità, legittimità ed efficacia dell’obbligo vaccinale, ovvero della legge che impone la vaccinazione obbligatoria di massa, sanzionando chi nega il consenso. I due piani del discorso non sono facilmente separabili, perché il secondo implica il primo, ma vanno comunque tenuti distinti. Noi ci occuperemo soprattutto dell’obbligo vaccinale, ovvero della legge Lorenzin.
Le posizioni sull’obbligo vaccinale (favorevole/sfavorevole) si incrociano con il grado di rigidità delle rispettive posizioni (alto/basso), generando complessivamente quattro atteggiamenti diversi:
1) COERCITIVI (favorevoli/rigidi), che possiamo indicare con la sigla COE, per i quali i vaccini sono assolutamente necessari, sicuri ed efficaci; gli effetti avversi per definizione non esistono o sono trascurabili; il rapporto costi/benefici è per definizione favorevole a prescindere per qualsiasi vaccino; non c’è limite al numero di vaccini che si possono somministrare in sicurezza; è necessario avere la massima copertura vaccinale; è giustificato obbligare a prescindere dalle condizioni soggettive, anche sacrificando altri diritti fondamentali, come l’integrità fisica, il diritto allo studio o ad un trattamento non discriminatorio; è giustificato radiare i medici che sconsigliano le vaccinazioni e punire i genitori resistenti;
2) TOLLERANTI (favorevoli/flessibili), che possiamo indicare con la sigla TOL, per i quali i vaccini sono complessivamente necessari, sicuri ed efficaci, ma non in blocco; esistono casi particolari di salute e circostanze che possono sconsigliarne l’uso; essendo farmaci, possono avere effetti avversi, che vanno attentamente monitorati; l’obbligo vaccinale è ammissibile e necessario in casi di emergenza sanitaria, mentre va attentamente valutato come regola, considerando ciascun vaccino caso per caso e senza generalizzazioni; si deve armonizzare l’obbligo vaccinale con gli altri diritti soggettivi; il numero di vaccinazioni obbligatorie deve essere sempre limitato al necessario; occorre rigore scientifico nel valutare gli effetti avversi; non si deve punire chi si sottrae all’obbligo;
3) LIBERALI (sfavorevoli/flessibili), che possiamo chiamare LIB, per i quali i vaccini possono essere anche utili, ma sempre a seconda del contesto, della persona e del singolo farmaco; essendo farmaci, per di più somministrati a soggetti sani, comportano comunque un rischio, perciò la scelta di vaccinarsi deve essere assolutamente libera e lo Stato deve solo renderla accessibile e gratuita, previa attenta verifica che il rapporto costo/beneficio sia davvero favorevole per ciascun individuo, visto che varia a seconda delle condizioni e del tipo di vaccino; l’obbligo non è giustificabile, se non in casi di gravissima emergenza sanitaria, e costituisce una violazione di diritti umani fondamentali, perché sacrifica la salute del singolo al presunto bene della collettività; gli effetti avversi vanno monitorati con rigore molto maggiore dell’attuale; i medici critici verso le vaccinazioni vanno ascoltati, perché il principio di precauzione deve avere il sopravvento; devono essere esclusi rigorosamente i conflitti di interesse dall’ambito sanitario; i danni devono essere risarciti dalla case farmaceutiche e non dallo Stato;
4) RADICALI (sfavorevoli/rigidi), che possiamo chiamare RAD, per i quali i vaccini sono per lo più inutili e dannosi; l’obbligo non si giustifica in nessuncaso e si presenta come un abuso violento dello Stato sul corpo dei cittadini più indifesi; chi non vuole vaccinarsi deve poterlo fare senza conseguenze; i medici critici sono la prova che non c’è unanimità nemmeno sull’efficacia delle vaccinazioni; lo Stato e le autorità sanitarie dovrebbero, per recuperare un minimo di credibilità ai loro occhi, tutelare la salute anche in altro modo.
Le precedenti definizioni sono da preferire rispetto a quelle attualmente in voga di PRO-VAX (posizioni COE e TOL), di FREE-VAX (posizione LIB) e di NO-VAX (posizione RAD), perché non si tratta di posizioni pro o contro i vaccini, come si è voluto far credere all’opinione pubblica in questi mesi con una certa dose di mistificazione politica, bensì pro o contro l’obbligo vaccinale nelle forme assai rigide del decreto Lorenzin. In realtà, nemmeno l’unica posizione contraria sia all’obbligo che ai vaccini (quella RAD) pretende di imporre a nessuno il proprio punto di vista né critica chi voglia vaccinarsi. Vi si riconoscono molti genitori i cui figli hanno subito gravi danni dalle vaccinazioni.
Bisogna osservare che la posizione LIB è attualmente quella di gran lunga maggioritaria in Europa, nonché quella che personalmente condivido, benché le spinte politico-commerciali verso un’estensione dell’obbligo ad altri Paesi sia forte, come si è visto in Francia, dove in un Parlamento semideserto alla vigilia di Capodanno è stata approvata una legge che introduce 11 vaccini obbligatori dal 2018. Di recente, la posizione LIB è stata sostenuta con forza anche da una rivista scientifica prestigiosa come Nature, in un editoriale sull’obbligo vaccinale in Francia. Essa punta sulla persuasione, considerandola più efficace dell’obbligo; contesta solo la coercizione su chi non vuole e rivendica il diritto di scegliere come gestire la propria salute, non dando affatto per scontato che la vaccinazione sia l’unico mezzo per raggiungere lo scopo di fare prevenzione attiva. La posizione TOL era quella di fatto presente in Italia prima del decreto Lorenzin ed è tuttora condivisa da molti medici. Il decreto stesso si situa nella posizione COE, sostenuta da alcuni medici molto in vista e vicini al potere e, ovviamente, ben vista dalle case farmaceutiche ed è stata imposta con puro atto d’imperio dal governo senza alcuna possibilità di dibattito dei sostenitori COE con le altre tre categorie elencate all’inizio.
Per entrare nel vivo della discussione, proverò a mettere a confronto le quattro posizioni su alcune questioni fondamentali della controversia sul decreto Lorenzin.
Perché introdurre l’obbligo vaccinale?
Qual è la finalità dell’obbligo vaccinale?
Perché proprio quei 10 vaccini?
Perché escludere dalla scuola i bambini non vaccinati?
Esistono o no gli effetti avversi?
Chi deve risarcire i danni?
I vaccini sono efficaci? E lo sono tutti allo stesso modo o alcuni più di altri?
Perché radiare i medici dissenzienti?
Qual è il ruolo della scienza medica in una società democratica?
NOTA BENE: I documenti a cui fare riferimento per ciascuna affermazione sono moltissimi e di diversa qualità. Ho scelto intenzionalmente di preferire documenti in lingua italiana (quando possibile), per rendere più agevole la lettura ed ho dovuto comunque effettuare una scelta, senza alcuna pretesa di completezza. Molti argomenti sono assai controversi anche fra i ricercatori e non mi è sembrato necessario proporre lunghi elenchi di studi in lingua inglese (che pure esistono). Ho preferito documenti di tipo giornalistico, a cui ciascuno darà il valore che ritiene di dover dare; molti di essi contengono link ai documenti originali. Chi vuole, troverà modo di approfondire. Lo scopo di questo articolo, ripeto, è solo dare un’idea, in assenza di un confronto pubblico fra esperti che consenta di formarsi un’opinione.
1. Perché introdurre l’obbligo vaccinale?
COE e TOL. Perché vaccinare l’intera popolazione permette di elevare oltre i livelli critici l’effetto gregge e quindi di proteggere i bambini non vaccinabili. Le vaccinazioni sono indispensabili per ridurre la diffusione delle malattie e le relative complicanze e per migliorare lo stato di salute della popolazione. In Italia, la percentuale di vaccinazioni è scesa sotto tale soglia critica del 95% e c’è il rischio di epidemie, perciò si rende necessario l’obbligo, come ha segnalato anche l’OMS. Le vaccinazioni di massa sono un risparmio economico per il paese rispetto al costo sanitario di dover curare eventuali malati; recuperare/ridurre i suscettibili è prioritario e irrinunciabile.
COE non distingue fra patologie (tutte egualmente gravi e tutte da affrontare esclusivamente tramite vaccinazione di massa, ad assoluta discrezione dell’autorità sanitaria), mentre TOL distingue fra le varie patologie e fa valutazioni di caso in caso.
LIB E RAD. La vera ragione, richiamata dal testo del decreto Lorenzin (D. L. 7 giugno 2017, n. 73: “Ritenuto altresì necessario garantire il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale”), è l’accordo politico-commerciale fatto con le multinazionali del farmaco nel 2014 a Washington, il GHSA, del cui contenuto peraltro non si sa ufficialmente nulla (a che cosa esattamente ci siamo impegnati e in cambio di che?), che prevede di vaccinare 4 miliardi di persone entro 5 anni, e si tratta di un affare assai più lucroso di qualunque investimento farmaceutico, reso sicuro dall’obbligatorietà. L’effetto gregge è un calcolo probabilistico teorico basato sull’osservazione delle conseguenze dell’immunizzazione naturale, diverso per ogni malattia, e non sembra avere un senso preciso applicato all’immunità da vaccino, visto che viene continuamente smentito dai fatti; inoltre le soglie sbandierate dal Ministero della Salute (95% per tutte le malattie) non corrispondono a quelle – assai più blande e soprattutto differenziate – dell’OMS. Per un approfondimento sull’effetto gregge e sull’immunità di gregge, nonché degli aspetti controversi relativi alle vaccinazioni, si può leggere l’analisi pacata del prof. Paolo Bellavite, Professore Associato di Patologia Generale, Università degli Studi di Verona. Qui si possono leggere le soglie di riferimento calcolate da diversi ricercatori e adottate dall’OMS. L’approfondimento della nozione di “effetto gregge” (o “immunità di gregge”) è fondamentale per qualunque discussione sui vaccini. Non per niente ne è stato fatto un uso improprio a sostegno dell’obbligo vaccinale, come si può leggere qui.
Anche vaccinando tutti i bambini fra 0 e 16 anni si raggiunge una quota assai piccola della popolazione totale, benché in crescita di anno in anno (14-15%, altro che 95%!), non si garantisce l’immunizzazione per tutti né un’immunità permanente come avviene con la malattia (si parla di 2-10 anni di durata) e vaccinare tutta la popolazione per raggiungere una quota teorica del 95% è inutile, oltre che impossibile, dato che l’immunità non è garantita (alcune persone non la sviluppano proprio), non è permanente, con continui richiami la vaccinazione costerebbe troppo rispetto al vantaggio (aumentando i rischi di danno) e la malattia si potrebbe diffondere all’interno della popolazione interamente vaccinata, come avvenuto in Mongolia per il morbillo (50.000 casi fra 2015 e 2016 su una popolazione di 3,2 milioni di persone con il 99% di copertura vaccinale e oltre il 95% con almeno due dosi; in Italia siamo a 3-4000 casi l’anno nei momenti di picco su 60 milioni, per intenderci) e negli USA per la parotite. Molti adulti vaccinati nei decenni scorsi non sono più coperti dal vaccino, eppure non sono scoppiate nuove epidemie. I vaccini non impediscono le epidemie, perché sono progettati per lo più per proteggere la persona che li riceve, non per impedire il contagio (è il caso, per esempio, del vaccino contro il tetano, che non è contagioso, di quello antidifterico, di quello antipolio e di quello antipertossico). Anzi, subito dopo alcune vaccinazioni i bambini possono essere contagiosi (è il caso, per esempio, di vaccino contro poliomielite, morbillo, rosolia, pertosse e varicella, come suggerisce l’ospedale John Hopkins nella sua “guida per i pazienti”, dove, in caso di immunodepressione, raccomanda di «evitare il contatto» con i bambini appena vaccinati) e possono essere pericolosi – benché sia un evento raro – per i coetanei e per le donne in gravidanza, come scritto nelle schede tecniche dei vaccini MPRV (si legga la scheda tecnica del Priorix Tetra, pagina 2). I bambini immunodepressi non sono affatto al sicuro in mezzo a bambini vaccinati, che quasi mai seguono le avvertenze indicate nei foglietti illustrativi e sui quali nessuno verifica l’effettiva immunizzazione vaccinale; inoltre, sono esposti a molte malattie per le quali non esistono vaccini e devono essere tutelati in altro modo. Perciò si deve lasciare ai singoli e alle famiglie la decisione se vaccinarsi o no.
2. Qual è la finalità dell’obbligo vaccinale?
COE e TOL. Assicurare un’adeguata protezione ai bambini e migliorare la loro salute, preservandoli dai rischi delle malattie infettive. Sottrarre alle famiglie la decisione, per contrastare l’ignoranza in materia e la disinformazione prodotta da ricerche non controllate. Ridurre in prospettiva la spesa pubblica per i danni delle malattie.
LIB e RAD. Al contrario, la finalità è favorire in modo non trasparente interessi privati, cosa di cui in Italia abbiamo già fatto esperienza in passato (si ricordino i casi delle tangenti a De Lorenzo e Poggiolini per l’introduzione del vaccino antiepatite B obbligatorio e lo scandalo della collusione internazionale fra OMS, case farmaceutiche e autorità sanitarie per la vendita di vaccini non adeguatamente testati per l’influenza aviaria e quella suina, che causarono molti danni da vaccino). Si ricordi inoltre che i preparati polivalenti sono coperti da brevetto farmaceutico e costano molto di più di quelli singoli, che per questo non si trovano più (per capirci: stando ai prezzi trovati in siti di prodotti farmaceutici o delle ASL, l’esavalente Infanrix Hexa costerebbe 98 euro e l’MPR Prorix circa 28 euro a dose; il vaccino tetravalente contro la meningite Menveo costerebbe circa 99 euro a dose; viene anche raccomandato con insistenza pure ai maschi il Gardasil contro il papillomavirus, a ben 171 euro a dose). La questione è stata oggetto di denuncia del Codacons e trattata nella tv pubblica francese nel 2016 (qui un estratto sottotitolato in italiano ). Nel primo anno, secondo calendario vaccinale, i neonati dovrebbero fare una quindicina di iniezioni e ricevere più dosi, per oltre 30 inoculazioni complessivamente delle malattie coperte da vaccino, secondo il Piano Nazionale di Prevenzione vaccinale 2016-2018 (pp. 48-50). Quanto costi ai contribuenti, sarebbe un’interessante informazione, come rilevato dall’Antitrust già nel 2016. I conflitti di interesse sono stati rilevati a proposito di alcune figure di medici dal doppio ruolo pubblico e privato (nelle multinazionali farmaceutiche) che hanno scritto questa legge.
Se fosse l’interesse per la salute dei bambini a prevalere, il Ministro Lorenzin non avrebbe mentito spudoratamente sui bambini morti per morbillo in Inghilterra; i medici responsabili della Sanità pubblica l’avrebbero corretta e non avrebbero avallato la diffusione di notizie tendenziose (per esempio, che i bambini sani non vaccinati sono pericolosi); l’AIFA avrebbe consegnato in tempo e il Ministro avrebbe recapitato ai Parlamentari il Rapporto 2014-15 sui danni da vaccino (pubblicato in seguito a procedimento legale del Codacons); non si sarebbero ingigantiti come flagelli di Dio i casi del tutto nelle norma di meningite e di morbillo; si sarebbero fatti studi sugli effetti cumulativi dei 10 vaccini obbligatori, invece di renderli obbligatori con irresponsabile leggerezza, senza nemmeno un solo studio preliminare, configurando un vero e proprio esperimento di massa non dichiarato; non si continuerebbe a negare irragionevolmente l’esistenza degli effetti avversi a prescindere da ogni dato di fatto, a fronte del numero molto elevato di casi accertati di cui la stessa Lorenzin ha dato notizia in Parlamento; si sarebbe migliorato il servizio di farmacovigilanza, che mostra parecchie lacune; non si sarebbe emanata una circolare per i medici che riduce irragionevolmente le controindicazioni alla vaccinazione praticamente al solo shock anafilattico; le ASL non impedirebbero di fare gratuitamente le analisi prevaccinali previste dalla legge in caso di obbligo e non si sarebbe minacciato di radiazione qualunque medico che sconsigli la vaccinazione.
L’obbligo vaccinale potrebbe preludere ad altre gravi limitazioni della libertà personale, che potrebbero in futuro minare definitivamente il diritto di un cittadino a proteggere il suo corpo e a difendersi da un’autorità arbitraria che voglia controllarlo o condizionarlo. Sugli aspetti pericolosamente antidemocratici e illiberali di questa legge ha scritto il sociologo Ugo Viale. Qui anche un video.
3. Perché proprio quei 10 vaccini?
COE Nessuna risposta. Così hanno deciso le Autorità sanitarie per garantire la necessaria copertura della popolazione. Somministrati in forma polivalente (esavalente + quadrivalente), che sono i formati commercialmente disponibili, consentono di fare solo due iniezioni, pur esistendo anche (pochi) altri vaccini monodose. Si può ascoltare il Ministro Lorenzin.
TOL Forse sarebbe stato meglio valutare con maggiore calma. Il vaccino per il morbillo sembra il più indispensabile; si poteva aggiungere ai 4 già esistenti e lasciare gli altri facoltativi. La discussione è troppo polarizzata e volerla estremizzare nuoce ad una sana discussione tecnico-scientifica.
LIB. L’assenza di motivazione è già una risposta. Non c’è nessuna ragione di necessità e urgenza per l’obbligo indiscriminato, per nessuno dei 10 vaccini, nemmeno per il morbillo, dato che il numero di casi registrati l’anno scorso rientra rimane nei limiti delle normali oscillazioni cicliche della malattia (nel 2002, con quasi 3 volte i casi del 2017, non ci fu alcun allarme morbillo). Lo ha detto perfino Gentiloni. Il decreto è passato con il voto di fiducia, senza un’adeguata valutazione e senza alcuna trasparenza. Il caso Ricciardi insegna, come rilevato anche dalla giornalista Giulia Innocenzi.
Non ci sono rischi epidemici per nessuna delle 10 malattie, come si vede in buona parte dell’Europa dove l’obbligo non c’è, e si poteva tranquillamente sospendere l’obbligo e monitorare, agendo a livello locale laddove si manifestassero eventuali focolai. Il tetano non è contagioso. La poliomielite e la difterite sono pressoché scomparse; il poliovirus si trova ancora praticamente solo nei vaccini ed è assente in Europa da 35 anni. L’epatite B è una malattia grave, ma si trasmette per via ematica e sessuale e il vaccino in età neonatale si può giustificare solo in presenza di rischi accertati. Si poteva al più consigliarlo in età più avanzata. Il morbillo è contagioso anche fra vaccinati; il vaccino, impedendo l’immunità naturale e ritardando nel tempo la malattia, perché sposta in avanti la soglia di suscettibilità senza fornire un’immunizzazione duratura, non protegge i neonati attraverso gli anticorpi materni con l’effetto che la malattia tende a colpire soprattutto gli adulti (non immunizzati per via naturale) e i neonati, per i quali è più pericoloso. L’immunizzazione vaccinale delle madri è infatti meno efficace dell’immunizzazione naturale e non si trasmette attraverso la placenta, proteggendo i neonati nei primi mesi di vita. Quindi, sarà anche utile, ma non risolutivo, visto che il traguardo dell’eradicamento si sposta sempre in avanti da decenni, senza mai essere raggiunto con qualunque soglia di copertura vaccinale. Il vaccino per la parotite non impedisce né la malattia né il contagio in un numero consistente di casi. Il vaccino contro l’Hemophilus Influentiae B – molto raro, peraltro (12 casi di malattia invasiva nel 2016 in Italia, 4 in vaccinati, 5 in adulti, 3 in non vaccinati su 60 milioni di abitanti, ovvero lo 0,00002%) – non protegge dai ceppi non tipizzabili, che sono i più frequenti e viene somministrato arbitrariamente fino a 17 anni, nonostante non sia raccomandato oltre i 4 anni, anche secondo il “Board Calendario per la vita” (con l’irresponsabile faciloneria che caratterizza l’applicazione di questa legge). Utilizzare un vaccino al di fuori del range di età per cui è stato autorizzato e testato può essere inutilmente pericoloso e rappresenta una palese violazione del codice di deontologia medica (art. 13 e 18). Ma anche il vaccino esavalente viene indicato come obbligatorio dal Board calendario per la vita ben oltre la fascia di età per il quale è stato testato. Un caso interessante è il vaccino anti-meningococco B, prima inserito fra gli obbligatori e poi tolto. Qui il rapporto costi-benefici è davvero assai dubbio. Nell’inserto con le “caratteristiche del prodotto” della ditta produttrice attualmente online si riferisce, per esempio, di un 2,1% di effetti aversi registrati negli studi di approvazione del prodotto. Si tratta di un numero molto elevato, specie per una malattia di così bassa incidenza. Sulla base di questi dati, il numero di effetti avversi gravi per questo vaccino registrati dall’AIFA (175 nel 2016 e 60 nel 2015) andrebbero moltiplicati rispettivamente per 35 o per 47 volte. Un esempio di come il rapporto costi-benefici vada valutato su ogni singolo vaccino e di quanto siano sottostimati i dati dell’AIFA. E anche di come si ignorino allegramente le indicazioni sulla fascia di età per la quale il farmaco è stato approvato, ovvero dai 10 anni d’età in su, con due dosi. In Italia invece lo si somministra anche ai neonati a partire dai tre mesi di età, con tre dosi.
Da ultimo, le quattro Commissioni parlamentari della Difesa che hanno indagato sulle cause delle gravi patologie che colpiscono i militari italiani, dopo anni di accertamenti hanno focalizzato l’attenzione sui vaccini e in particolare sull’MPR, giungendo a raccomandare il numero massimo di 5 vaccini per i soldati in servizio. Perché ai militari 5 e ai neonati di pochi giorni 10 (più quelli raccomandati, che possono fare 14), a prescindere dalle loro condizioni (prematuri, sottopeso, affetti da patologie ecc.), senza avere nemmeno uno solo studio che abbia indagato in via preventiva gli effetti di questa particolare associazione di vaccini, confrontando gruppi randomizzati di bambini vaccinati con questi 10-14 vaccini e bambini non vaccinati? Ai genitori italiani è stato taciuto che i loro figli sono sottoposti ad un esperimento di massa senza codice etico e senza possibilità di scelta volontaria. Roba da dittatura nazista, altro che consenso informato! E non si tratta di un’esagerazione: un esperimento obbligatorio violerebbe il Codice di Norimberga.
Un problema ulteriore è dato dalla presenza di nanoparticelle e di metalli neurotossici in alcuni campioni di preparati vaccinali (peraltro assenti in analoghi prodotti veterinari). Si può ascoltare un’intervista alla dottoressa Antonietta Gatti, fisico e bioingegnere di fama internazionale (osteggiata violentemente da quando si occupa di vaccini con il marito, dottor Stefano Montanari) e uno studio dell’infettivologo e specialista in Medicina preventiva dottor Fabio Franchi sulla quantità di sali di alluminio non solubili iniettati per via intramuscolare nei neonati, che supera di molto le dosi massime indicate dall’EMA (peraltro, è ignoto quale quantità massima di alluminio iniettato per via intramuscolare in forma di sali insolubili sia tollerabile per un neonato senza provocare danni, ma la cosa non sembra suggerire alcun atteggiamento di precauzione).
Un articolo pubblicato nell’aprile 2016 su Pediatrics, la principale rivista americana di pediatria, espressione dell’American Academy of Pediatrics (AAP), firmato da due ricercatrici statunitensi della University of Pennsylvania, Jessica Martucci e Anne Barnhill, pone un interessante problema linguistico relativo al termine “naturale”: non dovrebbe essere usato dai pediatri per definire l’allattamento al seno – dicono le autrici dell’articolo – perché viene associato a connotazioni positive, che poi potrebbero spingere i genitori a ritenere dannosi, perché non “naturali”, le vaccinazioni e gli OGM.
L’argomentazione è stimolante nella sua assurdità; perciò credo sia opportuno partire da una citazione testuale (traduzione mia):
Al di sotto della preoccupazione di molti Americani sulla sicurezza dei vaccini, è riconoscibile una specifica e non necessariamente illogica visione del mondo: un rifiuto di ciò che è industriale, sintetico e “innaturale” e l’adesione a ciò che è “naturale” come a qualcosa di più sano e intrinsecamente migliore. I vaccini sono spesso visti come “innaturali” e stimolare l’immunità in modo naturale è visto da alcuni come un approccio più sano e migliore. I Forum online e i Blog dedicati al vivere naturale offrono innumerevoli esempi di questa prospettiva, e il libro recente Vaccine Nation di Elena Conis documenta nei dettagli l’evoluzione di questa visione del mondo. Alcuni studi hanno mostrato che i genitori che fanno resistenza alla vaccinazione tendono a frequentare circuiti di individui dalle convinzioni simili alle loro. Queste sacche di sentimenti antivaccinisti tendono a sovrapporsi alla fiducia e all’interesse nei confronti della medicina complementare e alternativa, dello scetticismo verso l’autorità istituzionale e di un forte impegno e interesse verso la conoscenza in materia di salute, l’autonomia e le pratiche di vita sane.
Nel testo citato, “naturale” è contrapposto a “innaturale”. La linguistica strutturale ci ha insegnato che il significato di un termine si può comprendere all’interno di una coppia di opposizioni. Possiamo quindi comprendere l’accezione di “naturale” – parola ricchissima di accezioni diverse (una rassegna filosofica si può trovare nel Dizionario di Filosofia di Nicola Abbagnano) – sulla base dei suoi contrari linguistici: senza la pretesa di essere esaustivi, per esempio, sappiamo che nella storia del pensiero occidentale naturale è stato contrapposto a sovrannaturale nel pensiero cristiano (la natura non ha valore in sé, ma in quanto creazione o manifestazione del trascendente, di Dio) e nel pensiero scientifico (per il quale la natura è un ordine causale necessario, distinto da quello sovrannaturale), a culturale in antropologia (Claude Lévi-Strauss vede nell’uomo la peculiarità di trasformare la natura mediante la cultura), a positivo nell’ambito giuridico (naturale è il diritto che appartiene all’uomo in quanto membro dell’umanità, a prescindere da ogni legislazione umana particolare), ad artificiale dal pensiero greco in poi (per Rousseau, fra gli altri, l’homme naturel è l’uomo integro e autentico, prima della corruzione prodotta dal sapere e dalla civiltà), ad affettato nell’ambito sociale (ove naturale è sinonimo di spontaneo) eccetera.
Si pensi a espressioni come morte naturale, figlio naturale, luogo naturale, gas naturale, acqua naturale, tessuto naturale: in questi, come in altri esempi di uso comune, il termine “naturale” ha una valenza positiva o neutra, mai negativa. Esprime l’idea che l’evento o l’oggetto in questione sia conforme ad un ordine già dato e non discutibile, perché spontaneo, necessario, anteriore all’uomo e alla sua comprensione del mondo, al quale egli appartiene allo stesso titolo di ogni altro abitante del pianeta; un ordine che preesiste alla sua azione trasformatrice, la quale può essere vista come positiva o negativa a seconda dell’ideologia di riferimento.
L’articolo da cui siamo partiti, dicevamo, contrappone naturale a innaturale. È certamente vero che, nell’immaginario del nostro tempo, la parola naturale” è associata a una visione nostalgica, alla mitizzazione di tutto ciò che appartiene ad un passato preindustriale, nel quale si viveva con ritmi più umani, meno artificiali e più sani. Umberto Eco ci ha spiegato come l’universo ideologico che ispira alcune fra le campagne pubblicitarie più riuscite della storia (si pensi al Mulino Bianco) associ naturale a connotazioni positive quali genuino, del buon tempo antico, artigianale, semplice, sano, non contraffatto. La visione idilliaca della natura è la comprensibile reazione di una società altamente industrializzata che ignora la fatica improba del lavoro in campagna e i vantaggi della vita moderna. È perfino ovvio dire che non tutto ciò che è “naturale” è per forza sano (molte erbe sono velenose, per esempio) e non tutto ciò che è “artificiale” è per forza dannoso (il latte formulato o una protesi di titanio, per esempio, possono essere indispensabili ad una vita normale). Inoltre, a volte si ritiene “naturale” un cibo che è frutto di sofisticata lavorazione umana, come avviene per un certo numero di prodotti “bio”. Ma qui l’operazione ideologica che viene proposta palesa un intero universo mentale illiberale e altamente pericoloso.
L’allattamento al seno è sano ed è preferibile senza dubbio all’allattamento artificiale per ragioni mediche e psicologiche. Questo è un dato di fatto; lo dice anche l’AAP (https://www.aap.org/en-us/about-the-aap/aap-press-room/Pages/AAP-Reaffirms-Breastfeeding-Guidelines.aspx). La Natura fa le cose per bene, evidentemente. Quello che non piace alle due ricercatrici è che venga definito “naturale”. Il fatto è che è pure naturale, nel senso che tutti i mammiferi allattano i loro piccoli. Nemmeno su questo c’è dubbio alcuno. Qui “naturale” è termine puramente descrittivo; tra l’altro, l’allattamento è proprio l’attività che definisce alcune specie animali come“mammiferi”. Non per niente l’allattamento alternativo è detto “artificiale”.
E allora perché non lo si dovrebbe definire “naturale”? Perché altrimenti chi ha simili “credenze” finirebbe con l’interessarsi di medicina complementare o alternativa, con nutrire un sentimento antivaccinista, con il diventare scettico verso l’autorità istituzionale, e con l’impegnarsi fortemente nella conoscenza relativa alla salute, nell’autonomia e negli stili di vita sani.
Osserviamo subito la fallacia argomentativa dell’appello alle conseguenze: un’affermazione non è da rigettare solo per le conseguenze che può avere. Un’affermazione può essere vera anche se le sue conseguenze sono sgradevoli. L’allattamento sarebbe naturale anche se usare questo termine implicasse le conseguenze indicate.
Ma tali conseguenze sono sgradevoli per chi? Il dato di fatto che l’allattamento al seno è naturale diventa nell’articolo una semplice “credenza” (belief), destituita di ogni obiettività. Il fatto altamente positivo, nella prospettiva del bene comune e della cittadinanza democratica, che le persone si interessino della salute, diventino autonome e perseguano stili di vita più sani viene reinterpretato come negativo. Perché? Perché chi ha queste caratteristiche assume posizioni critiche verso i vaccini e verso l’autorità costituita (notiamo il termine “sentimento” riferito a chi contesta i vaccini, che fa il paio con “credenza” ad indicare la non obiettività della posizione). Perché è critico, insomma.
E a chi dà fastidio che le persone diventino critiche? Chi ha interesse a che le persone accettino supinamente ogni diktat dall’alto senza protestare, che non pratichino stili di vita sani, non si facciano domande sui vaccini e non diventino autonome? Magari chi produce e commercializza cibi industriali provenienti da coltivazioni e allevamenti industriali (di cui mostrano leconseguenze sulla salute e sull’ambiente documentari come Fed up!,Supersize me o Food Inc.)? Chi produce e commercializza latte artificiale, farmaci e vaccini (di cui trattano documentari come Inventori di malattie e Tigers, per non citare il censuratissimo Vaxxed)? Chi approfitta del suo prestigio professionale o istituzionale per avvantaggiare questo o quel potentato economico (come ci raccontano le cronache giornalistiche da sempre)? Non certo chi dimostra con la ricerca scientifica che il cibo che si mangia, l’aria che si respira, le sostanze di sintesi che si introducono nel corpo, vaccini compresi, hanno un impatto sulla salute (e che non ha certo vita facile, visti gli interessi che mette in discussione).
Di colpo, “naturale” deve diventare negativo, pericoloso, insidioso, anche quando certamente è il contrario, perché “innaturale” possa diventare positivo, addirittura preferibile. Questo sembra essere implicito nella rimozione della parola. Dobbiamo scordarci ogni legame con la natura e accettare la completa artificializzazione della nostra vita, e non perché sia obiettivamente meglio per noi, ma perché ce lo richiede chi intende governare le nostre scelte in nome delle leggi del mercato. La verità fattuale deve essere accantonata perché può mettere strane idee in testa: che “sano” e “naturale” si equivalgano (come di fatto è, nel caso dell’allattamento).
Insomma, non importa quali siano i fatti e quali le opinioni. Basta ridurre i fatti a credenze (l’allattamento al seno è naturale e sano) e trasformare le credenze in fatti indiscutibili (i vaccini sono sani e gli stili di vita sani o il senso critico sono indesiderabili). Nomina e res si scambiano i ruoli, in un’operazione propagandistica degna della neolingua di George Orwell. Occorre cassare la parola “naturale” dal linguaggio medico. L’allattamento al seno è sano non perché è naturale, ma perché lo dice l’AAP, che dice pure che bisogna vaccinare tutti senza eccezione. È l’autorità la fonte della verità, non l’evidenza dei fatti. Va da sé che qui la scienza non c’entra nulla.
Il fatto è che i vaccini non sono certamente naturali (nemmeno le due ricercatrici osano affermarlo) e non garantiscono affatto un’immunità certa e duratura come quella naturale, conseguente a malattia (anche la malattia è “naturale” nelle cause e spesso “culturale” nelle manifestazioni, come insegna l’etnomedicina; i giudizi di valore su di essa sono relativi al modello medico e valoriale di riferimento). In più, che i vaccini siano tutti sani o che migliorino sempre e comunque lo stato di salute di chi li riceve è tutto da dimostrare, viste le numerosissime prove scientifiche e giudiziarie del contrario, che possono essere ignorate solo con la repressione del dissenso scientifico, con l’intimidazione e con la disonestà intellettuale. Perciò, definirli in blocco “sani” corrisponde più ad una credenza o ad un atto di fede che a un dato di fatto. Ma tutto è lecito, purché non si tocchino gli interessi privati in gioco – questo alla fine appare ad occhi interessati veramente immorale.
Però, anche in questa operazione disonesta emerge un dato di fatto involontario: allattamento al seno, buona alimentazione, stili di vita sani, conoscenza della salute e senso critico verso l’autorità e verso le vaccinazioni di massa appartengono tutti ad una stessa visione del mondo. Quella di chi ha una concezione della vita più complessa e autonoma ed è consapevole dell’attacco continuo a cui sono sottoposti i diritti alla sicurezza alimentare, ad una ambiente vivibile, all’autodeterminazione in materia di salute, all’integrità del proprio corpo, ad un’informazione trasparente, all’espressione del dissenso verso l’autorità. Notiamo che alcuni di essi fanno parte dei cosiddetti diritti naturali, il nome più antico di quelli che chiamiamo diritti umani. Quelli che oggi, nell’avanzante neofeudalesimo senza diritti, dobbiamo difendere con le unghie e con i denti.
Se la gente associa “sano” a “naturale”, la fiducia nei vaccini vacilla. Questa sembra la vera preoccupazione, come si legge nella conclusione dell’articolo:
L’opzione ‘naturale’ non si allinea completamente con gli obiettivi di salute pubblica. Se fare ciò che è ‘naturale’ è ‘meglio’ nel caso dell’allattamento al seno, come possiamo aspettarci che le madri ignorino quella prospettiva potente e profondamente persuasiva quando scelgono in fatto di vaccinazione?
Già. Come si fa a convincerle a perseguire non la salute in sé, ma gli obiettivi di salute pubblica fissati dai governi? E in assenza di fatti, occorre confondere le idee, manipolare le menti e negare l’evidenza. Business is business. Il senso critico va combattuto e indebolito. Il pensiero va colonizzato con nuove associazioni semantiche, indirizzato, riprogrammato. Poiché solo il pensiero che sostiene e mantiene l’attuale assetto economico- politico è funzionale allo scopo, deve diventare pensiero unico, semplificato, neutralizzato. Artificiale è sano, naturale è pericoloso. Obbedienza è bene, critica è male. OGM è bene, biologico è male. Vaccino è salute, immunità naturale no. L’innaturale diventa magicamente più naturale (sano, benefico) del naturale, quando c’è di mezzo il profitto (non è questa per esempio la perversa strategia di marketing del latte artificiale in diversi Paesi del mondo, fra cui il Pakistan? Ce lo racconta il film Tigers).
Certo, il profitto è lecito. Ma non a scapito dei diritti umani e della salute e a prezzo della verità. Guarda a caso, lo dice l’IBFAN (International Baby Food Action Network), rete internazionale per la protezione dell’allattamento e della nutrizione infantile, criticando (indovinate un po’?) la Bill e Melinda Gates Foundation, che oltre alle campagne vaccinali sta promuovendo la diffusione di alimenti per l’infanzia prodotti dalla compagnie private (http://www.ibfanitalia.org/call-to-action/), cercando di influire sulle regole del Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. Come dicono gli attivisti dell’IBFAN, “tali aziende non mettono – e non potrebbe essere altrimenti – il rispetto dei diritti umani davanti al loro profitto. La loro partecipazione in qualunque processo di ideazione e sviluppo di politiche e programmi di pubblico interesse, men che meno nel monitoraggio del Codice, sarebbe come invitare una volpe a costruire un pollaio”.
È questo il pericolo dell’ibridazione fra pubblico e privato, quando sono in gioco i diritti fondamentali e il privato è più forte del pubblico: che le regole in materia sanitaria non siano dettate da istituzioni pubbliche e trasparenti, ma dalle aziende portatrici di interesse; che i fini non siano la salute e il bene comune, ma il profitto privato; che i mezzi siano scelti dai giocatori (le aziende) e non indicati dall’arbitro (le istituzioni politiche e giudiziarie) e definiti dalle regole; che l’arbitro non abbia la forza o l’autorità di imporre le regole, perché minacciato o comprato dai giocatori; che gli esperti (gli scienziati e i clinici) dipendano per fondi, benefit, carriere e prestigio dai giocatori e che i cittadini, destinatari delle politiche sanitarie, siano passive marionette da manipolare con il lavaggio del cervello perché non disturbino il gioco e paghino i danni in silenzio.
Gli antichi dittatori caddero perché non sapevano dare ai loro soggetti sufficiente pane e circensi, miracoli e misteri. E non possedevano un sistema veramente efficace per la manipolazione dei cervelli […] Ma sotto un dittatore scientifico l’educazione funzionerà davvero e di conseguenza la maggior parte degli uomini e delle donne cresceranno nell’amore della servitù e mai sogneranno la rivoluzione. Non si vede per quale motivo dovrebbe mai crollare una dittatura interamente scientifica.